Il piacere di portare il vino a tavola. Racconto di un pranzo d’estate sul Lago di Garda insieme a Erika e Giorgia Marchesini
Uno dei motivi per cui non perdiamo l’occasione di andare a trovare le artigiane dell’uva nelle loro cantine è perché l’ospitalità è sempre ottima, il vino sempre buono e c’è sempre qualche delizioso piatto inaspettato. Indimenticabile la torta al formaggio che abbiamo condiviso con Chiara Lungarotti mentre ci faceva assaggiare il suo Rubesco, la robiola d’Alba, freschissima, con il Beami Sempre Rosato da Beatrice Cortese, i salumi di Alice Castellani insieme al suo Timorasso, la crema alle nocciole di Nadia Verrua, per non parlare dei crostini toscani in abbinamento all’Elleboro di Podere Conca, le mandorle speziate che Lefiole ci hanno fatto trovare in abbinamento al loro Pinot Grigio, la torta al cioccolato con i lamponi in abbinamento al Noir Pinot Nero da Tenuta Mazzolino e il parmigiano reggiano degustato insieme al Lambrusco da Venturini Baldini. Questa volta le sorelle Marchesini ci hanno addirittura invitate a pranzo e con loro, neanche a dirlo, abbiamo parlato proprio del piacere di portare il vino a tavola.
Il piacere di portare il vino in tavola: quando fare un vino buono è un affare di famiglia
“Facciamo vini di facile beva, perché così il vino porta gioia tutti i giorni” appena arriviamo Erika Marchesini mette subito le cose in chiaro: “Mio padre dice sempre che il vino può essere perfetto, ma se non ha un gusto che non è buono, hai un vino perfetto che va sprecato. Per questo, i nostri vini non sono fatti per aspettare la grande occasione, ma per rendere ogni occasione grande”. A tavola con Erika si imparano un sacco di cose, non solo sul modo che lei e sua sorella Giorgia hanno deciso che sarebbe stato il loro modo di fare vino, ma anche che il modo in cui si porta il vino a tavola deve rispettare l’anima del vino stesso. “Il Bardolino, per esempio, è un vino che è stato bistrattato per anni. Troppo vicino geograficamente alla Valpolicella, è finito per diventare con il tempo “solo” il vino da tavola, ma in realtà è un grande vino”. Impariamo così che, per esempio, il loro Farfilò va servito fresco per far risultare tutta la sua eleganza. Ce lo serve così anche lei, in abbinamento a un buonissimo riso integrale freddo con pesce, pomodoro e zucchine.
“I nostri vini non sono per aspettare la grande occasione, ma per rendere ogni occasione grande” Erika Marchesini
Siamo fortunate e abbiamo la possibilità di assaggiare tutti i vini prodotti dalle sorelle Marchesini. E con nessuna sorpresa scopriamo che la loro linea di punta si chiama proprio La famiglia a Tavola. Ci sono tutti i grandi classici di questo lato del Garda, quindi non solo Bardolino e Chiaretto, ma anche blend dei vitigni autoctoni Corvinone, Molinara e Rondinella e Chardonnay e Sauvignon per gli internazionali. Menzione d’onore va al loro Pinot Grigio (ahimè è una produzione troppo piccola che viene da una vigna vecchia di più di quarant’anni vendemmiata a mano, perché finisca in uno dei loro cofanetti degustazione, ma se avete l’occasione di passare da Lazise andate a trovarle anche voi nella loro cantina e assaggiatelo!) che noi degustiamo in abbinamento a una galette alla trota salmonata e verdure fresche con maionese alle erbe. A fine pasto, al posto del dessert, chiediamo di assaggiare nuovamente il Coralin Chiaretto, che aveva in realtà aperto il pranzo in abbinamento all’antipasto di croissant salati.
Dieci ettari dislocati in luoghi diversi perché ogni vino ha un’anima diversa
Questa l’eredità che il papà Marcello ha lasciato a Erika e a Giorgia. Oltre a un vigneto, chiamato Dei Santi, dove il nonno coltivava le uve autoctone e produceva vino solo per la famiglia. “A noi piace il fatto di avere i vigneti sparsi in luoghi diversi, perché ci piace avere vini diversi, ma anche andare sul sicuro: con la crisi climatica in atto, la saggezza dei nonni che coltivavano varietà diverse per aumentare la possibilità di avere un raccolto a fine stagione, torna oggi più che mai”, ci spiegano. Il Fasanel, il vento che sale dal lago, tiene asciutte le uve e aiuta contro la peronospora, ma quando diventa troppo forte, rischia di provocare danni seri. Allo stesso modo, non mantengono la coltivazione tradizionale a pergola veronese ovunque, ma sono passate al guyot laddove era più conveniente e in generale vendemmiano prima per avere più acidità e meno alcol e zucchero nel vino. Una combo fondamentale, che costituisce anche un raccordo importante tra la tradizione dei padri (è proprio il caso di dirlo) e il futuro che è in mano alle donne. Soprattutto se l’obiettivo è quello di avere vini che è un piacere portare a tavola.
Piccola storia di come un piccolo sogno può diventare realtà grazie a un grande amore, quello di Beatrice Cortese per il vino
Mentre siamo in auto per raggiungere Bricco di Neive, nel cuore del territorio di produzione del Barbaresco, dove Beatrice Cortese ha fondato la sua cantina sotto la casa dove è cresciuta, sto leggendo “Storie di coraggio” di Oscar Farinetti. Il libro ha come sottotitolo “Vino, ti amo!” e mentre ci inerpichiamo sulla cima di questa collina, tra i filari delle viti che quest’anno che piove un giorno sì e uno pure – e infatti anche oggi il tempo non è dei migliori e dunque è perfetto per degustare nebbiolo! – sono di un verde brillante, non posso fare a meno di pensare che dev’essere vero amore anche quello che prova Beatrice per la sua terra e per i suoi vini.
Beatrice Cortese è nata nel 1994 ed è l’ultima arrivata su Vite. Non potevamo iniziare che da lei il viaggio itinerante che tutte le estati ci porta a visitare le cantine delle artigiane dell’uva e che per questo abbiamo felicemente battezzato #viteincantina. La cantina di Beatrice è appena stata rimessa a nuovo. Per farlo, Beatrice ci confida appena scese dell’auto, che ha dovuto sfidare la nonna togliendole dei filari del piccolo orto casalingo: “Qui è ancora tutto come una volta. Tra le vigne si è sempre coltivato altro. Ora, vedi” aggiunge indicando l’altro versante della collina dove, inconfondibili, le foglie di salvia crescono poco al di sotto delle viti “nonna si è già ripresa lo spazio che le abbiamo dovuto togliere per costruire la rampa di accesso alla nuova cantina. Ma l’avevo già convinta perché nella sua vecchia vigna ci ho ripiantato la Barbera, come piace a lei”. Il mondo di Beatrice è tutto racchiuso tra la cima di questa collina, dove c’è la casa di famiglia e gli ettari di Nebbiolo e Barbera, che sono a metà suoi e dello zio, e la collina successiva, inframmezzati tra boschi e noccioleti. “Siamo nel cuore del Barbaresco“, ci racconta, “Qui i terreni dell’uno e dell’altro sono così attaccati che solo noi sappiamo quando finisce il nostro e quello del vicino. Ora si fa prevalentemente Nebbiolo e Barbera, ma un tempo, dato che non siamo neanche troppo lontano dalla zona più vocata per la produzione del Moscato Spumante, si coltivava moscato come unica uva bianca”.
Non sono una persona paziente e ho tante idee, ma ho così tanto da fare che aspettare non è un problema, Beatrice Cortese
Tu cosa coltivi, Beatrice? Le chiediamo, anche se, dato che conosciamo i suoi vini da tempo, già conosciamo la risposta: “Io faccio solo vini rossi, Nebbiolo e Barbera, e un rosato sempre dalle stesse uve, che sono le uve più vocate di questo territorio. Per ora”, aggiunge con un un sorriso furbo facendoci nascere un’enorme curiosità. Continuiamo a farle domande sul futuro mentre scendiamo le scale che portano alla nuovissima stanza di affinamento dove, per ora – è obbligatorio dirlo, Beatrice ha fondato la sua azienda soltanto cinque anni fa, la sua prima vendemmia ufficiale è stata quella del 2022 – riposano due barrique e un’anfora, che Beatrice ha comprato perché dall’anno scorso ci fa affinare la sua barbera Barbea.
Risaliamo le scale e ci dirigiamo verso la grande terrazza che ha una vista mozzafiato sulle sue colline. Peccato che piova anche oggi e così Beatrice ci fa accomodare nella sala di degustazione. Ci offre nocciole tostate e un formaggio fresco locale che ci fa piangere da quanto è buono. Mentre prepara i bicchieri, noi la riempiamo di domande. Perché hai deciso di fare il vino, Beatrice? “Non ho mai immaginato di voler fare altro. La mia famiglia fa il vino da sempre e io sono cresciuta qui. Ma prima di volere una cantina mia, in realtà, pensavo di voler fare altro. Ho studiato per diventare sommelier e ho lavorato in diversi ristoranti stellati prima di tornare nelle Langhe e lavorare alla Banca del Vino di Pollenzo. Poi, poco prima del Covid, mio padre mi ha chiamata e io ho detto: perché no?“.
Come si inizia a fare il vino per mestiere? “Anzitutto, serve studiare. E un buon capitale di partenza, non solo in termini economici, ma soprattutto di terra: per fare un buon vino, serve una buona vigna. Io dalla mia parte avevo mio zio, che ha sempre fatto vino, e il fatto che ci troviamo in un territorio particolarmente vocato come quello delle Langhe. Qui, la vite può crescere tra la biodiversità garantita dai boschi e dai noccioleti, su un terreno che è uno dei migliori al mondo, marna, calcare e argilla, ma anche tufo, sull’altro versante della collina, che danno al nebbiolo personalità diverse: austero ed elegante da un lato, fresco e ammiccante dall’altro. Poi, la mia formazione negli stellati ha aiutato: ho una grande disciplina e una grande determinazione, oltre alla grande consapevolezza che oggi per mandare avanti un’azienda vinicola non è sufficiente avere un buon prodotto e venire da un territorio vocato”. Come si dice in questi casi, anche la Nutella per vendere deve farsi pubblicità. “Esatto, io amo troppo il vino per rischiare di farlo male, per questo sin da subito ho scelto un buon enologo e anche una buona agenzia di comunicazione che mi seguisse nell’elaborazione del marchio Beatrice Cortese Vini, dal logo, al sito, fino ai nomi dei vini e alle loro etichette che ho realizzato a sei mani insieme alla mia grafica Barbara Scerbo e a Senz’H illustratrice di grande talento”. Tutte donne, è? “Oh sì!”.
Qual è la cosa più importante per te nel fare il vino? “Fare un vino buono e rispettoso dell’ambiente da cui proviene. Per coltivare le mie uve faccio la lotta integrata, che significa che aiuto soltanto la natura a fare del suo meglio, senza intervenire con agenti chimici o con interventi troppo invasivi. Oggi faccio circa 10mila bottiglie, tra Nebbiolo e Barbera e faccio un vino che piace a me. Nel futuro voglio dare il massimo a questo territorio e per questo ho fatto un bando per fare il Barbaresco: voglio crescere e migliorare sempre di più. E l’anno prossimo uscirà una nuova etichetta, una bollicina, su cui per ora non dico niente, dovrete aspettare anche voi la fine dell’anno!”. Siamo così curiose che riusciamo a farci dire almeno il suo nome, ma le promettiamo che saremo brave e non faremo spoiler. Ma è facile dire di sì, i vini sono finalmente pronti nei calici e noi possiamo iniziare la nostra degustazione. Io prendo appunti che, da quando sono diventata sommelier, è un piacere che non riesco proprio a togliermi (anche se i più puristi tra voi che leggere magari inorridiranno quando aggiungerò che non ho disdegnato nemmeno le nocciole!). Beatrice è anche un’ottima comunicatrice del vino, si vede che ha lavorato per anni in questo settore, e mentre noi assaggiamo parliamo anche di imprenditorialità, di leadership, dei pessimi capi che abbiamo avuto e di quelle – il femminile è d’obbligo ambo le parti – che ci hanno insegnato molto. Abbiamo quasi la stessa età e condividiamo le gioie e le fatiche dei trent’anni, che Beatrice compirà quest’anno. “La cosa più difficile è farsi prendere sul serio, quando sei donna e sei giovane. Ma io ho fiducia nel mio vino, ce la farò”, glielo auguriamo tantissimo e, quando ci salutiamo con la promessa di rivederci presto, magari dalle nostre parti dopo la vendemmia, siamo contente di poter sentire che anche noi stiamo facendo la nostra parte. Per Beatrice, per tutte le artigiane dell’uva e anche per le donne come noi, che continuiamo a mettercela tutta per diventare grandi e realizzare i propri progetti.
Appunti di degustazione: i vini di Beatrice Cortese
Rosato Beami Sempre: 100% nebbiolo, annata 2022, ha un colore rosa tenue che assomiglia a quello dei tramonti sul mare. Si colora infatti nella pressa, perché Beatrice vinifica le uve di Nebbiolo come se dovesse fare un vino bianco. Al naso delicato come i piccoli frutti di bosco, in bocca si sente soprattutto la struttura del Nebbiolo e un interessante accordo di spezie. Sull’etichetta, una ragazza libera nella natura, rappresenta la facile beva di questo vino.
Barbera Barbea: annata 2022, l’ultima per cui Beatrice userà solo acciaio per l’affinamento (dall’annata 2023, sta usando l’anfora). Al naso e al gusto è un vino in cui si sente la ciliegia croccante, di quelle succose che quando stacchi il picciolo con le dita senti in bocca un bel “toc”. In etichetta c’è Venere, solo che al posto del pomo della discordia c’è un grappolo, per ricordare l’amore del vino e l’affinamento in anfora. Si chiama Barbea perché sono le barbatelle che ha piantato Beatrice stessa. Diventa subito la nostra preferita.
Langhe Nebbiolo: anche questo è dell’annata 2022 e le sue uve provengono dalla vigna vicino al bosco, dall’altro lato della collina, dove il terreno tufaceo dà a questo vino freschezza e immediatezza. Oltre a un colore molto vivace e bello da vedere nel bicchiere. Il tannino è ben tenuto, nonostante la vinificazione in acciaio, ed è un vino che rappresenta perfettamente il Nebbiolo: al naso è erbaceo, sa di viola e di frutta rossa matura, che in bocca lascia spazio alle spezie, come il pepe bianco. Assaggiamo anche la versione in legno, un esperimento che ci convince meno perché forse legno si sente troppo: Beatrice concorda e sentenzia “Non è ancora pronto, deve stare in bottiglia ancora un po’”. Noi siamo contente e lusingate che abbia voluto condividere con noi anche quest’anteprima. L’etichetta sarà uguale a quella che già conosciamo, ma i colori saranno più accesi e avrà un nuovo nome.
I vini di Beatrice, insieme alla sua storia e alla degustazione guidata con lei, sono ordinabili qui.
Siamo state ospiti a Podere Conca per una passeggiata tra viti e ulivi e una degustazione con le cicale in sottofondo. Il racconto del nostro #viteincantina a Bolgheri
Per arrivare a Podere Conca devi lasciarti il mare alle spalle e seguire il suono delle cicale. Prendi la via delle Ferruggini, i filari sulla destra, i cipressi sulla sinistra, il vento che accarezza la schiena e garantisce alle viti che sono coltivate in queste zone una protezione naturale contro le malattie fungine che possono intaccare la pianta. Il terreno, man mano che si sale verso la strada Bolgherese, diventa sempre più scuro – e io, che sto per iniziare il terzo livello del corso di sommelier, so che terra scura significa argilla e argilla significa vini di grande struttura. Ma non sarà questa a colpirmi nei vini di Silvia Cirri, quanto invece quell’elemento – un blend particolare, un fiore inventato – che le fa brillare di arguzia gli occhi azzurri mentre ce lo racconta.
Se giri a destra, qualche centinaio di metri dopo, la prima cosa che intravedi sono i battenti rossi di Podere Conca, il casale di fine ottocento che la famiglia di Silvia ha ristrutturato facendolo diventare la casa di villeggiatura della famiglia. “Mio padre ha deciso di lasciare le finestre rosse”, racconta Silvia mentre facciamo il giro della casa, “perché per la gente della zona questa casa è sempre stata un punto di riferimento. Quando si vedevano per darsi appuntamento, si dicevano l’un l’altro, ci troviamo alla casa con le finestre rosse, e così mi piace che sia ancora oggi per tutte le persone che desiderano venirci a trovare”.
Una passeggiata tra viti, ulivi e rose cremisi
A Podere Conca si fa, da sempre, sia vino sia olio. “Quando abbiamo deciso di piantare la vigna nei terreni attorno al podere, abbiamo deciso di mantenere queste piante di ulivo perché sono centenarie”. E le rose? “Le rose sono le nostre sentinelle, quando arriva la peronospora – un fungo che attacca la vite – perché le foglie della rosa ne soffrono per prime e così possiamo intervenire preventivamente”. Quest’anno, complici le piogge di giugno, la peronospora e il batterio della flavescenza dorata sono le principali cause della ruga di apprensione che a Silvia si disegna in mezzo agli occhi mentre me ne parla, all’ombra del porticato. Mi spiega che a Podere Conca, dove l’agricoltura è da sempre praticata in regime biologico, si cerca di combatterli tra rimedi naturali e una cura attentissima di ogni pianta. Purtroppo, nonostante gli sforzi di tutte le donne di Podere Conca, quest’anno a causa della peronospora la produzione sarà del 50% inferiore rispetto a quella dell’anno scorso. “L’agricoltora sa che questo è uno dei rischi di chi fa questo mestiere”, racconta Silvia sollevando le spalle, “speriamo che la qualità del vino sarà sempre buona. Altrimenti” aggiunge con saggezza “vedremo il da farsi. Noi, il consorzio, tutte le cantine qui intorno”.
Dalla vigna al bicchiere, un vino, un fiore
Ci sediamo all’ombra sotto al portico, le cicale in sottofondo e la brezza che porta il profumo del mare. Una parte dei vigneti è qui, quella da cui si fanno i vini di maggiore qualità, e una parte è due kilometri più in basso, verso il mare alle Ferruggini, dove il terreno è più minerale e sabbioso e per questo si coltivano le uve bianche soprattutto. Mentre faccio girare il vino nel calice per la degustazione, invidio a Silvia e alle donne di Podere Conca quel senso di spensieratezza che abbiamo colto appena siamo entrate nell’aura della casa con le finestre rosse. E in quella della sua proprietaria. Silvia è una signora calma e gentile, con una grande tenacia e una brillante intelligenza. Te ne accorgi mentre parli con lei, che ha un’opinione informata su tutto, gesticola pochissimo – al contrario di me – e che ha fatto della sua passione tardiva per il vino una materia approfondita di studio. Lei, che fa il medico in un grande ospedale di Milano e che è abituata alle dinamiche della sanità Lombarda, si è avvicinata al mondo del vino per passione e in punta di piedi: come sommelier all’inizio, come artigiana dell’uva e come imprenditrice enoica dopo. Il suo tocco – il tocco dell’artigiana e il tocco dell’imprenditrice, ma anche un po’ il tocco della matriarca – si vede dappertutto, dalla disposizione dei tavoli e dei cuscini sotto al portico durante la degustazione, alla scelta dei prodotti da abbinare ai vini (il crostino di pane integrale, con formaggio fresco, pomodoro sott’olio e cappero, con olio di Podere Conca, è perfetto con il 196), ma soprattutto nella scelta delle persone, tutte donne, a cui Silvia ha dato, prima di tutto, fiducia.
Il tocco di Silvia, il suo progetto enologico e imprenditoriale, diventa sempre più chiaro, nella nostra conversazione e nel corso della degustazione. Ha le idee chiare, Silvia, e ha individuato da tempo i mezzi per realizzarle. Nei vini, dai blend coraggiosi – come l’Agapanto, dove il tradizionale rosso di Bolgheri diviene una piacevole sorpresa perché il Cabernet Sauvignon e il Cabernet Franc vengono uniti al Ciliegiolo e per questo diventa subito il nostro preferito (ahinoi, nel cofanetto al momento non c’è); oppure l’Elleboro, un’alternativa coraggiosa al noto vermentino toscano, un mix di Viognier, Chardonnay e Sauvignon blanc – e nelle etichette, su cui sono raffigurati i fiori che sua madre amava piantare e avere attorno: l’Elleboro, la rosa di natale, l’Agapanto, che per tradizione è simbolo dell’amore, i tulipani del 196 che ricordano le tulipe di ceramica dove viene fatto affinare il Cabernet Sauvignon in purezza che compone questo vino, e infine l’Apistos, il fiore ideale, quello che a Silvia piacerebbe coltivare, simbolo di un vino che è ancora un esperimento, che vuole rompere con la tradizione del super tuscan, ridefinendo il modo di fare il vino a Bolgheri in quel modo che solo chi conosce a fondo un procedimento può innovare: partendo dalla conoscenza, verso, se tutto va come previsto, la rivoluzione.
C’era una volta una bambina che amava accompagnare la mamma a raccogliere l’uva. Quando era tempo di vendemmia, uscivano insieme al mattino, la mamma e la bambina, la bruma alle caviglie, il cestello e le forbici in mano. E mentre il sole saliva nel cielo, così le loro mani, insieme a quelle di tanti altri accorsi nella vigna, riempivano le casse di grappoli pieni e colorati. Erano giorni di dita blu e sorrisi bianchi e quando finivano, mentre gli occhi della bambina si chiudevano sotto al peso del sonno, la mamma iniziava a raccontare dei piccoli magici amici che, proprio in quel momento, si trovavano nella vigna a liberare i filari dei grappoli rimasti, per rendere più leggero il lavoro del giorno successivo. “E chi sono, mamma?”, chiedeva la bambina. “Sono gli gnomi, Sara, che vivono sulle nostre colline e che ci aiutano con la vendemmia. In cambio chiedono solo qualche bottiglia di vino”. Oggi quella bambina è cresciuta e, seguendo le orme di mamma Josetta, fa il vino anche lei.
Gli gnomi di Sara Vezza
E gli gnomi? “A noi piace pensare che ci siano ancora” ci racconta durante la nostra visita “e per farli sentire a casa, abbiamo deciso ci continuare la tradizione iniziata da mia madre, che amava disegnarli, di inserirli sulle nostre etichette”. Ma non solo. Mentre camminiamo nei locali dai soffitti alti che profumano di mosto, mentre il verde della collina filtra dalle vetrate delle grandi finestre, ci accorgiamo che ci sono gnomi a osservarci dall’alto dei tini, dalle vasche vuote tirate a lucido dopo l’imbottigliatura avvenuta in primavera, persino dalle bottiglie che riposano nell’archivio privato della cantina, quel posto magico dove ogni artigiana dell’uva conserva un campione di ogni annata: per raccontare, di vino in vino, il susseguirsi delle piogge, delle giornate assolate, del freddo dell’inverno, della magia della natura, e conservarne così la memoria.
Vini di langa
Sara è una tuttofare. Va a vedere la vigna alle 6, poi arriva in cantina alle 9, prende un caffè con lo staff, poi torna a occuparsi dei suoi quattro figli, poi la si trova in cantina, dove è affiancata dal papà e da un’enologa, e infine in ufficio o nella sala degustazione. È qui che, anche noi, abbiamo modo di degustare i vini di Sara Vezza. Assaggiamo lo Spumante Rosato – macerazione brevissima sulle bucce e affinamento in acciaio che donano al vino freschezza e uno splendido colore – il Nebbiolo d’Alba – due anni di invecchiamento e un tannino ammorbidito da diciotto mesi in botte – e il Barolo Ravera – che trascorre una parte del suo affinamento in contenitori di porcellana. Assaggiando queste tre declinazioni di nebbiolo, questi tre modi diversi per fare il vino da uno stesso uvaggio, abbiamo la sensazione di scoprire, sorso dopo sorso, anche noi, tre strade che il sapere artigiano di Sara ha tracciato e che uniscono il passato e il futuro della sua cantina. Che poi, è anche quello che fanno tutte le storie…
#viteincantina: siamo state a Scurzolengo, alla Cascina Tavijn, a bere ruché e a mangiare pasta di nocciole pura dal barattolo con Nadia Verrua
Di Nadia ricorderemo prima di tutto gli occhi. Azzurri, guizzanti, di quelli che quando li incontri non ti lasciano andare. E poi le mani, sempre affaccendate, tra i capelli che sfuggono all’elastico che li vorrebbe trattenere in cima alla testa, tra le foglie del filare, tra i bicchieri appoggiati sul tavolo di legno della cucina dove ci ha accolte per ripararci dal caldo dell’estate che entra nel vivo. A fine giugno siamo state a Cascina Tavijn – che è davvero una cascina, con l’aia, i muri di mattoni, la strada sterrata e le lenzuola stese al sole che profumano di pulito – per incontrare Nadia Verruae la sua famiglia, quella con cui vive e quella che vive sulle sue bottiglie, nelle etichette realizzate da Gianluca Cannizzo. Conosciamo così anche Teresa e Ottavio, i genitori di Nadia – “Gli instancabili anche se vecchietti”, così ci si presentano – Stella, amica a quattro zampe, curiosa e fedele, e Caterina, la figlia che non è fisicamente con noi perché sta finendo di preparare gli esami di terza media, ma è come se lo fosse, nelle foto e nei racconti dei suoi familiari più adulti.
Ruché e nocciole: degustazione con Nadia Verrua
La verità è che prima di conoscere Nadia, nemmeno sapevamo come si pronunciasse la parola “ruché”. Nella sua bocca il “ch” che arriva dopo la erre arrotolata è quasi aspirato e l’accento sulla “e” non apre la vocale, ma semplicemente ne alza la tonalità in un modo che è piemontesissimo. Nel suo libro Vino al Vino, lo scrittore e regista Mario Soldati definisce il ruché, autoctono piemontese, “un vitigno misconosciuto e simpatico” che è a tutti gli effetti “l’altra faccia del Piemonte” rispetto ai più conosciuti Barbera, Nebbiolo e Grignolino. Nadia lo propone in diverse versioni: in purezza per il Teresa base e il Teresa La Grande Riserva; e in blend nel 68 e nel MostRo rosato con altri uvaggi, sempre autoctoni piemontesi. Li assaggiamo dopo che Nadia ha avvinato i bicchieri, insieme alla pasta di nocciole che prepara lei stessa con i frutti dei tanti spettinati alberelli che, insieme alle viti, convivono sui suoi terreni. In questa pasta morbida, gustosa, che mangiamo direttamente dal barattolo e le cui note tostate trovano assonanze nel vino che stiamo degustando, ritroviamo la firma della Nadia artigiana.
I vini di Nadia sono naturali, come lei (e la sua risata)
Nessun trattamento, nè in vigna né in cantina. Se gli acini fossero pronti, durante la nostra visita, potremmo mangiarli direttamente dalla pianta. Quando abbiamo raccontato la sua storia, Nadia ci ha detto di intendere il suo essere artigiana dell’uva come colei che accompagna l’uva nel racconto di se stessa attraverso il vino: solo ascoltandola, ci ha detto, si può imparare che il suo canto è sempre diverso e rappresentativo di ogni annata. Quando ci accompagna a vedere la cantina – un luogo piccolo, pulito, ingombro di tini in vetroresina e grandi vasche in cemento – ci ricorda che le sue decisioni produttive prevedono che qui possano agire solo lieviti spontanei, nessun elemento che può in qualche modo alterare il gusto, i profumi o il colore del vino.
I vini di Nadia sono vini d’uva, punto. E di uva autoctona, recuperata, bandita, come la sua celebre Barbera. Vini coraggiosi che raccontano il territorio. Semplici nella composizione e complessi, da fare, come ammette Nadia ridendo con quella sua risata repentina e contagiosa, e anche un po’, forse, da capire. “Negli ultimi anni c’è sempre un po’ questa moda dei vini naturali”, ci ha detto rientrando verso casa dopo una passeggiata per i vigneti di ruché, “Ma credo non si parli mai abbastanza di agricoltura. Soprattutto in questa fase di cambiamento climatico, quando sono da rivedere i piani colturali e di vinificazione, e non sempre preservare la qualità di un vino si può fare in modo naturale, ho fatto e confermo la scelta dei vini naturali perché per me da sempre sono espressione del territorio e della personalità del vignaiolo. O della vignaiola, come nel mio caso”.
#viteincantina da Francesca Seralvo in Oltrepò Pavese a Tenuta Mazzolino
Tenuta Mazzolino si trova a Corvino San Quirico, sulla punta di una collina. Attorno, i vigneti di proprietà della famiglia, la maggior parte coltivati a pinot nero e chardonnay, oltre all’autoctono bonarda. Quando abbiamo raccontato la storia di Francesca Seralvo, lei ci ha raccontato che qui suo nonno, francese, arrivato in Italia negli anni ’60 e fondatore della cantina, voleva ricreare un angolo di Borgogna. Scendendo dall’auto che ci ha portate alla bellissima villa, appena restaurata, iniziamo a capire che cosa intendesse: c’è un ricchissimo roseto, un profumo inebriante e, poco più in là della piscina, i filari e, oltre, la pianura, che grazie alla giornata quasi estiva ci fa intravedere persino l’arco alpino.
#viteincantina da Tenuta Mazzolino
La nostra visita alla cantina, parte da qui. Francesca ci racconta che il nome Mazzolino deriva dal toponimo di quel luogo, il latino Mansiolinium, che significa punto di ristoro, punto di incontro. Non potevamo avere auspicio migliore per la giornata che stiamo per vivere! Mentre passeggiamo nel roseto, Francesca ci ricorda che la cantina oggi produce circa novantamila bottiglie e che coltivano una superficie vitata di venti ettari, suddivisi in trentanove particelle, tutte in regime di agricoltura biologica. Sotto di noi, mentre parliamo, guardiamo ordinati i filari di pinot nero, coltivati secondo la tecnica del sovescio, ancora visibile in questa stagione, secondo cui viene piantato a filari alterni un insieme di piante – fiori di campo e legumi in particolare – per arricchire il terreno e per mantenerlo fresco in previsione del caldo estivo che si aspetta tra poche settimane. “Il grande lavoro che facciamo in vigna”, ci dice Francesca, “ci consente di arrivare in cantina con uva pressoché perfetta. In cantina, la vera fatica allora, sarà quella di non rovinarla, ma di esaltarla al massimo”.
Perché sul muro ci sono due galli?
I due galletti ruspanti sono il simbolo della Tenuta. Il nonno ha raccontato a Francesca che li ha scelti perché, la prima volta che salì su questa collina, trovo due galli ad aspettarlo. Il logo è stato disegnato negli anni settanta dal grafico Giacomo Bersanetti, genero di quel Luigi Veronelli che è riconosciuto tra i padri della gastronomia italiana, a cui il nonno di Francesca chiese di disegnare l’etichetta. Poiché, allora come oggi, l’Oltrepò era apparso al Bersanetti piuttosto confuso, con i suoi appezzamenti “messi giù” dai contadini secondo convenienza, più che per un progetto di qualche pesaggista, egli decise di riempire il contorno dei due galli con linee tratteggiate e discontinue, a simboleggiare l’anima, disordinata e irruente, di questa terra. E dei suoi vini.
Una volta in cantina, capiamo cosa intende Francesca. L’ambiente è pensato per aiutare il lavoro di tutte le persone che collaborano con Tenuta Mazzolino. I dipendenti sono dodici in tutto, tra cui molte donne. Due consulenti esterni, entrambi francesi (per portare avanti il sogno del nonno, sorride Francesca), si aggiungono nei momenti clou della produzione del Noir, il Pinot Nero in purezza che è simbolo di Tenuta Mazzolino, e della produzione degli spumanti Metodo Classico, sia il Blanc de Blancs, 100% da uve chardonnay (entrambi sono nel cofanetto degustazione di Francesca) sia il Cruasè, il rosato da uve 100% Pinot Nero il cui peculiarissimo color rosa intenso è ottenuto lasciando il mosto a contatto con le bucce per sole sei ore (e di cui sia io che Agnes facciamo in modo, a fine visita, di accaparrarci due bottiglie ciascuna. Lo sapete, abbiamo una passione per il rosè).
Dalla barricaia torniamo sulla terrazza della villa ottocentesca, appena restaurata e riportata allo splendore di quando i nonni di Francesca vivevano qui. In queste stanze dalle grandi finestre, dove la luce del sole rimbalza elegantemente sui pavimenti di ceramica e sui quadri di pittori italiani e francesi dei primi del Novecento, il sogno di Francesca di fondare un piccolo WineClub, che si potrà riunire in queste stanze, prenderà vita nel corso dell’estate: noi ci mettiamo subito in lista e tu?
Questa volta l’amore per il vino ci ha portate in Umbria, a Torgiano, da Chiara Lungarotti e al Museo del Vino
Si dice che Henry James, autore di Ritratto di Signora, dopo aver trascorso un felice periodo in Umbria, scrisse: “Forse farò un favore al lettore dicendogli come dovrà trascorrere una settimana a Perugia. La sua prima cura sarà di non avere fretta, di camminare dappertutto molto lentamente e senza meta e di osservare tutto quelli che i suoi occhi incontreranno“. Arrivate a Torgiano, piccolo borgo tra le colline dove ha sede la storica cantina Lungarotti, abbiamo subito seguito il consiglio di James ed ecco cosa abbiamo visto.
Siamo andate a trovare la nostra artigiana dell’uva Chiara Lungarotti
Quando si dice una “cantina al femminile”. Oggi l’azienda Lungarotti è guidata da Chiara, che è Amministratore Delegato, mentre sua sorella Patrizia, enologa – la prima in Italia – sovrintende la creazione di ogni vino e cura ogni annata con competenza, amore e dedizione. Al loro fianco una squadra di donne che le affiancano in tutte le fasi e i luoghi della produzione del vino e dell’accoglienza. Al marketing c’è Grazia – c’è lei dietro ai cofanetti che ricevete – in enoteca c’è Mercedes, che ci consiglia anche un buonissimo ristorante dopo la nostra visita, e in cantina incontriamo Maria, la più giovane della squadra Lungarotti, appena assunta dopo lo stage.
Maria ci conduce in tutte le parti della cantina Lungarotti e ci accompagna in ogni fase produttiva del vino. Tanto che ci sentiamo due grappoli in vendemmia! Ci divertiamo nell’osservare le grandi deraspatrici all’esterno, a sbirciare all’interno delle botti d’acciaio dove il vino ha iniziato a fermentare, ad annusare l’aria carica del profumo del mosto che si respira in bottaia tra le tonneaux. Nella sala dove, per anni, venivano lasciati i grappoli a fermentare e che oggi ospita gli incontri formativi con le scuole, lasciamo il nostro nome sul muro insieme alle firme delle tante persone venute in visita. Camminiamo in silenzio per le sale dove avviene la fermentazione in bottiglia, rabbrividendo all’ambiente mantenuto in temperatura, fino all’imponente sala dell’imbottigliamento dove possiamo soltanto immaginare il rumore che, quando l’apparecchio è in funzione, sovrasta pensieri e parole.
Lasciamo la cantina e degustiamo: i vini di Chiara Lungarotti
Maria ci accompagna anche nella degustazione, che conclude in bellezza la nostra visita alla cantina. Lungarotti produce ventinove etichette e due milioni di bottiglie ogni anno. Poiché noi ne conosciamo tre – il L’UM rosso, che è presente nel cofanetto degustazione di Chiara, il suo gemello in bianco il L’UM bianco, e il Rubesco (di cui avevamo parlato anche su Instagram in questo post) – chiediamo di poter degustare i vini che non conosciamo, ma che sono significativi per la storia di Chiara e della sua famiglia.
Il vitigno umbro per eccellenza, il Sangiovese, è il protagonista di questa selezione, insieme agli autoctoni Grechetto e Trebbiano. Apprezziamo particolarmente il Brezza Rosa, un Umbria Rosato IGT dal gusto fresco ed elegante, che eleggiamo immediatamente come il nostro nuovo preferito per gli aperitivi di fine estate, magari in accompagnamento ai salumi e ai formaggi umbri. L’Aurente, invece, è il preferito di Maria, un vino bianco che si caratterizza per il colore dorato, caratteristica peculiare di questo vino da cui prende il nome. Chiudiamo la degustazione con un assaggio di RubescoRiserva, un vino che è considerato come uno dei migliori rossi italiani, e che ci conquista con il suo cuore rosso rubino proiettandoci già verso l’autunno negli abbinamenti: ce lo immaginiamo degustato a cena, con lo scoppiettio del camino in sottofondo, ad accompagnare primi corposi e piatti a base di carne.
Le visite in cantina ci piacciono tutte. Ma forse il nostro momento preferito è proprio quello della degustazione. Tra profumi, colori, sapori, mentre il vino volteggia nei bicchieri e noi ci sentiamo coraggiose nel suggerire con parole che iniziamo a far nostre quello che con i nostri sensi sentiamo soltanto – è rubino, ha una nota eterea, ha una buona persistenza – sentiamo davvero che questo è il momento in cui davvero avviene l’incontro non solo con colei che ha prodotto il vino, ma anche con il territorio da cui entrambi provengono.
Visitiamo il Museo del Vino per scoprire come tutto ebbe inizio
Il profondo legame tra vino, persone e territorio costituisce le radici del Museo del Vino, voluto dalla madre di Chiara, Mariagrazia Lungarotti, che ha sede proprio a Torgiano a circa dieci minuti a piedi dalla cantina Lungarotti. È qui che ci dirigiamo una volta conclusa la nostra visita in cantina. Il Museo è stato fondato nel 1974 e oggi è gestito dalla Fondazione Lungarotti con l’intento di raccontare i significati e l’interesse millenario per il vino, attraverso manufatti, pratiche e tradizioni, tra viticultura, arte, religione e medicina.
Il percorso ripercorre la storia d’amore tra l’umanità e quello che gli antichi chiamavano il nettare degli dei. Qui impariamo a conoscere la cultura della vite e l’uso del vino nel passato, secondo usi e tradizioni nate in Umbria e che si ritrovano poi in altre comunità umane. Le numerose testimonianze presenti nel museo, che ci divertiamo a osservare incuriosite, indicano senza ombra di dubbio che laddove c’è una comunità umana, c’è sempre anche il vino.
C’è chi dice (Agnes) che le decisioni prese all’ultimo sono le migliori. E c’è chi (io) pur non credendoci nemmeno un po’ sì lascia trascinare. E, così, ci siamo ritrovate su un treno per Reggio Emilia un venerdì pomeriggio per raggiungere la Tenuta Venturini Baldini, sui colli reggiani. Ospiti di Julia Prestia per una sola giornata, ma tutta da ricordare.
ore 16:00 – arrivo alla dimora storica di Roncolo 1888
Quando l’abbiamo conosciuta era lo scorso novembre. Era venuta a Milano per Wine Up Your Life e aveva raccontato la sua storia al pubblico milanese intervenuto per il nostro primo evento. Julia Prestia è una donna alta, con gli occhi che brillano, un sorriso largo e accogliente; le mani, che tradiscono chi lavora lontano dalla scrivania, la postura fiera di chi sta facendo esattamente quel che desidera e che si trova esattamente dove vuole essere. Appena messo piede nella sua Tenuta, di fronte alla villa di Roncolo 1888, il wine relais di Venturini Baldini, abbiamo capito perchè.
Parlando di questo luogo, immerso nelle colline, Julia ci ha detto: “ho realizzato il mio sogno”. Cresciuta in Austria, ha lavorato a Londra ed è arrivata in Italia nel 2015 insieme a suo marito Giuseppe e ai loro quattro figli. Ha scelto questa tenuta, nelle Terre di Canossa, per creare un luogo dove si produce vino, secondo le antiche tradizioni, e dare vita a prodotti eclettici, reinventando quella stessa tradizione. “Quando hai una buona materia prima”, ci dirà Laura durante la visita alla Cantina Storica “te lo puoi permettere”. Ma è solo il nostro arrivo e tocca di prepararci per l’aperitivo.
ore 18:00 – aperitivo in vigna e bollicine sotto le stelle
Come scopriamo subito, discendendo a piedi la collina per raggiungere il prato antistante l’altra Cantina, quella dove oggi si concentra la gran parte della vinificazione di Venturini Baldini, l’aperitivo del venerdì sera è un evento atteso a cui partecipano persone da tutto il circondario. E come dar loro torto: la magia che si respira, sdraiate sotto al cielo che inizia a tingersi di viola al crepuscolo, con un bicchiere di Cadelvento Spumante Brut Blanc de Blancs DOP, è impagabile. Trascorriamo qui tutta la sera, con la musica del dj set in sottofondo e le colline ad abbracciare l’orizzonte.
ore 11:00 – giro della Cantina Storica di Venturini Baldini
La mattina dopo decidiamo di dedicarla alla scoperta della Cantina Storica, situata sotto il corpo centrale del Relais. La nostra guida è Laura e insieme a noi c’è un gruppo di ospiti, europei e americani, che restano ammirati dalla bellezza del luogo. Quattro stanze, dai soffitti bassi e dal profumo di mosto, caratteristiche tipiche delle cantine dell’alto centro Italia. Qui, nei tonneaux e nelle più piccole barrique, fermentano i vini rosati e il TERS Malbo Gentile, un vino ottenuto dalla vinificazione ferma delle uve che solitamente si utilizzano per ottenere il Lambrusco. Il TERS è una delle scommesse che Julia ha voluto fare al suo arrivo a Venturini Baldini e oggi, questo vino molto particolare, ha anche una versione in bianco ideale per l’aperitivo.
La parte della Cantina che preferiamo è quella dove vengono conservate tutte le bottiglie prodotte da Julia sin dal suo arrivo alla Tenuta. Ci racconta che, per lei, questo luogo è come un diario del vino, che poi è come se fosse il diario delle persone che vivono qui: una bottiglia contiene la storia del territorio, sa raccontare com’è stato il tempo quell’anno, se la vendemmia è stata gentile oppure no. Noi rimaniamo affascinate e ci divertiamo a osservare gli ospiti che restano in muta ammirazione di fronte alle bottiglie più antiche.
ore 15:00 – Cadelvento Lambrusco Spumante Rosè a bordo piscina
Verso l’ora di pranzo ci dirigiamo verso la piscina del relais. Non per nulla è l’estate più calda degli ultimi anni e noi non siamo di certo piante di vite, abituate a resistere anche sotto il sole più cocente… Decidiamo di pranzare con un tagliere di salumi e formaggi del territorio – non per niente siamo in Emilia Romagna, terra di parmigiano e prosciutto crudo – accompagnato da una bottiglia di Cadelvento Lambrusco Spumante Rosè ghiacciato.
Trascorriamo così (sì, come nella foto) tutto il pomeriggio e ci chiediamo perché nelle nostre vite non ci sono più spesso 24 ore fatte così. Tra vino, chiacchiere, storie e buon cibo (e una piscina tutta per noi). Per fortuna, i vini di Julia sono presenti su Vite e per chi li acquista c’è la possibilità di fare una visita in cantina. Vero che è una vera fortuna?
Lasciati ispirare dalla storia di Julia e acquista i suoi vini: per andare alla pagina clicca qui.
Grazie a Julia Prestia e a Roncolo 1888 per l’ospitalità.
Le artigiane dell’uva sono la destinazione perfetta per i weekend d’estate: ti aspettano in tutta Italia per aprirti le loro cantine e farti degustare i loro vini
Con queste temperature, in attesa delle tanto agognate vacanze lunghe, dal lunedì al giovedì la domanda più gettonata è: che cosa fai questo weekend? Il nostro consiglio è sempre lo stesso: un bel giro per cantine! Quelle delle artigiane dell’uva, of course, sparse in tutta Italia e pronte ad accoglierci per una gita in giornata, un weekend di relax o uno dei tanti addii al nubilato che affollano le nostre agende. Molte infatti non sono solo cantine, ma offrono possibilità di accoglienza di diverso tipo, fino al relais perfetto per un retreat a base di vino e bellezza.
Come si organizza un giro per cantine?
Chiacchierando con le nostre amiche, sembra che l’aspetto più difficile sia quello di sapere da che parte cominciare. Se, infatti, non siamo esperte di vino, e volessimo, per esempio, fare una ricerca su Google o su Instagram, le migliaia di risultati che troviamo, anche solo nella nostra regione, farebbe desistere chiunque. Il primo consiglio che ci sentiamo di darvi, se volete organizzare un giro per cantine e non sapete come fare, è quelo di scriverci, dato che, come sa chi ci segue anche sui nostri profili personali, spesso siamo in giro e amiamo condividere spunti e consigli utili a chi ce lo chiede (e qui vi ricordiamo che a questa mail rispondiamo entrambe e subito: info@vitestoriedivinoedidonne.it).
Il secondo consiglio è quello di fare una ricerca geolocalizzata nel luogo dove vorreste andare. Con i suoi 341 vini DOC e 78 vini DOCG, l’Italia è uno dei Paesi con la produzione di vino più diversificata al mondo. Potremmo quasi dire che, così come ogni borgo ha il suo dialetto, così ha anche il suo vino. Dunque, se da un lato questa varietà può confondere, dall’altro, abbiamo la sicurezza che ovunque sarà la meta del nostro giro fuori porta, probabilmente poco lontano ci sarà qualche cantina da visitare.
Una volta aperto Google e aver fatto la ricerca “cantine NOME POSTO DOVE VOGLIO ANDARE”, che fare? Il primo passo è visitare il sito web per vedere se la cantina offre esperienze di visita o di degustazione predefinite. Oppure, si chiama e si chiede se sono disponibili quel giorno a quell’ora per farvi fare un giro in cantina. Poiché, come amano dire anche le nostre artigiane dell’uva, la terra non conosce Natale o domenica e si lavora tutti i giorni, per non mettere in difficoltà la persona con cui stiamo parlando, è sempre meglio telefonare per tempo e accordarsi per il momento del weekend più comodo per entrambe le parti.
Come prepararsi per un giro per cantine
Se hai in mente di visitare più cantine nello stesso giorno o fine settimana, considera sempre che per una visita in cantina fatta bene, che ti consenta cioè non semplicemente di degustare il vino, ma anche di ascoltare la storia di chi lo ha prodotto, conoscere il territorio e assaporare il contatto con la natura, che fa sempre bene, dovrai dedicare almeno tre ore. A nostro parere, l’orario migliore è il tardo pomeriggio: perché il giro in vigna sarà sotto un sole più clemente, si arriverà alla degustazione all’orario dell’aperitivo e le foto con la golden hour sono le più spaziali!
Indossa abiti leggeri e scarpe comode, se la visita prevede anche una passeggiata nelle vigne, e se per caso hai deciso di visitare una cantina al mattin e una al pomeriggio, occhiali da sole e un cappello di paglia. Molte cantine, soprattutto quelle storiche, hanno anche una bottaia o delle sale archivio dove la temperatura deve essere mantenuta attorno ai 20 gradi: dunque, anche una felpina non è mai una cattiva idea.
Dulcis in fundo, la degustazione. Se non ci sono esperienze di visita predefinite, puoi chiedere il numero e la tipologia di vini previsti in fase di prenotazione. E se hai paura di esagerare, non preoccuparti, solitamente questo momento, che è tra i nostri preferiti, è sempre accompagnato da prodotti del territorio. Perchè, come amano dire le nostre artigiane, il vino è solo una delle tante espressioni di una terra.
In giro per le cantine delle artigiane dell’uva: mappa e itinerari
Se hai bisogno di ispirazione o se, semplicemente, hai piacere ad andare a visitare cantine al femminile, cioè condotte da donne e dove le donne svolgono un ruolo primario nella produzione e creazione del vino, sei nel posto giusto. Clicca qui per vedere la mappa di tutte le artigiane dell’uva oppure continua a leggere per consigli di itinerario a seconda dell’area geografica.
Le artigiane dell’uva del sud Italia
Se hai già programmato le vacanze in Italia, non c’è niente di meglio per concludere in bellezza la giornata con una visita in cantina e conseguente degustazione. In Campania, Cristina Varchetta di Cantine Astroni propone una passeggiata tra le vigne nel meraviglioso territorio dei Campi Flegrei. Tra i suoi vini più rappresentativi, presenti anche nel suo cofanetto degustazione che trovi anche qui su Vite, il Pedirosso Colle Rotondella, un vitigno autoctono capace di regalare grandi emozioni, anche d’estate. In Calabria, Filomena Greco di iGreco produce un vino dal colore del sole, e che prende il suo nome, in una valle verde e fresca grazie ai venti che provengono dal mare; qui, insieme alla sua famiglia, propone cinque esperienze di degustazione di vino e olio. Infine, in Sicilia, a Marsala, le sorelle Giovanna e Rosanna Caruso di Caruso e Minini propongono sei differenti esperienze di enoturismo alla scoperta dei prodotti del territorio in abbinamento fino a sei dei loro buonissimi vini. Per una pausa con i fiocchi tra un tuffo e l’altro.
Le artigiane dell’uva dell’Oltrepo Pavese
Ancora a Milano? Se, come noi, sei ancora in città e le tue ferie sono ancora lontane, le nostre quattro artigiane dell’Oltrepo Pavese sono pronte ad accoglierti. Lefiole, a Montalto Pavese, organizzano eventi serali e pomeridiani di degustazione e di scoperta delle loro terre, da cui passa anche il 45esimo parallelo; oppure, la degustazione consueta, come quella che abbiamo provato anche io e Agnes, prevede un viaggio alla scoperta di tutti i loro vini abbinati a prodotti a km 0. Altre due sorelle, Laura e Patrizia Torti di Torti Wines, organizzano pic nic in vigna super romantici a Montecalvo Versiggia, nel cuore dell’Oltrepo, a soli 40 minuti da Milano. Francesca Seralvo, della Tenuta Mazzolino, accoglie singoli e gruppi per una visita della cantina che può essere totalmente personalizzabile. Tenete d’occhio i suoi canali social per conoscere le prossime date di aperitivi e cene in vigna. Caterina Cordero, di Cordero Sangiorgio Winery, è l’ultima artigiana arrivata su Vite e propone visite in cantina alla scoperta dei tesori dell’Oltrepo, a partire dal suo pinot nero (che prende il nome della madre dei draghi).
Le artigiane dell’uva del centro Italia
Il sole infuoca gli aperitivi in vigna di Fattoria La Maliosa, chez Antonella Manuli, a Saturnia nel cuore della Maremma. Non solo semplici visite e degustazioni, accompagnate da prodotti maremmani, ma anche un winebar pronto a stupire e una starbox tra i filari dove addormentarsi sotto il cielo trapuntato di stelle. In Umbria, invece, tra Torgiano e Montefalco, Chiara Lungarotti di LungarottiWine propone visite in vigna e in cantina di diverso tipo, insieme alla scoperta del primo Museo del Vino e dell’Olio d’Italia, fondato dalla madre. Accanto alla cantina, anche un agriturismo che offre un’ospitalità d’eccezione, e splendide cantine che fanno da sfondo agli eventi che popolano la tenuta per tutta l’estate.
Le artigiane dell’uva del nord est
Vino, arte e relax: è la ricetta di Julia Prestia per l’estate dell’enoturismo di Venturini Baldini a Roncolo, in Emilia Romagna. Alle consuete visite in vigna, cantina e nell’acetaia, si aggiunge un aperitivo musicale ogni mercoledì sera e un festival artistico fino a metà agosto. Il relais è stato pensato per accogliere gli ospiti in un’atmosfera da fiaba super rilassante. Se invece siete in vacanza sul Lago di Garda, una visita al borgo medievale di Lazise e alla tenuta della famiglia di Erika e Giorgia Marchesini è d’obbligo: da Marchesini Winery c’è sempre infatti l’occasione di conoscere il chiaretto in tutte le sue sfumature.
Le artigiane dell’uva del Piemonte
Langhe, colli tortonesi e Gavi: neanche a farlo apposta, le nostre artigiane dell’uva piemontesi si trovano in tre dei territori più meravigliosi d’Italia. Chiara Cane, dell’Azienza Agricola Fratelli Ferro, ha un Nebbiolo che è un sogno (e che stiamo convincendo a portare anche in Vite in un cofanetto in edizione limitata solo per la nostra community!) e vi aspetta nel cuore delle Langhe, a Santo Stefano Belbo, per una visita tra i filari. Poco lontano, nell’astigiano, Nadia Verrua, della Cascina Tavijn, produce vini naturali e propone una visita in cantina genuina, come le sue creazioni. Chiara Soldati, di La Scolca, propone esperienze esclusive alla scoperta dei vini del Gavi, da provare! Infine, Alice Castellani di Cascina Giambolino, propone un super romantico pic nic in vigna come quello che abbiamo provato io e Agnes durante il nostro ultimo giro per cantine in Piemonte.
Le artigiane dell’uva dell’Abruzzo
In Abruzzo c’è solo l’imbarazzo della scelta. Valentina di Camillo di Tenuta I Fauri offre la possibilità di una visita in cantina e in vigna oltre alla possibilità di pernottare in un bellissimo agriturismo con piscina. Poco lontano, Simona di Candilo di Tenuta Oderisio propone i suoi vini in abbinamento a un tagliere di prodotti a km0 dopo una passeggiata per la vigna e le cantine. Dulcis in fundo, Mariapaola di Cato, dell’Azienda Agricola di Cato, si trova nell’antico borgo di Vittorito: qui il profumo di vino è sempre nell’aria e lei è pronta ad aprire le porte delle sue terre e della sua cantina per degustazioni dal sapore familiare.
Per la nostra terza tappa di #viteincantina siamo state da Lefiole vini a Montalto Pavese, per una degustazione in terrazza vista vigne con i prodotti del territorio
Elisa e Silvia sono due sorelle. Nate e cresciute a Montalto Pavese, su una collina da cui si intravede il mare da una parte e Milano dall’altra; terza generazione di una famiglia che da sempre coltiva uve, cinque anni fa, Elisa e Silvia hanno deciso di coltivare e far crescere il sogno del nonno e hanno così creato Lefiole vini, azienda vitivinicola che oggi produce pinot grigio, pinot nero e, da quest’anno, il loro primo Metodo Classico. Un nome, in dialetto oltrepadano, che simboleggia il loro legame viscerale con questo territorio che amano alla follia. Anche se la vita le ha portate lontano, una a Milano e una sul Lago Maggiore, hanno scelto di tornare sulla loro collina a fare il vino. Così, dalla fusione dei loro nomi nasce il pinot grigio Elivià, dai nomi dei genitori, Angela ed Enzo, il pinot nero Alenè e il nuovo Metodo Classico, il primo, il cui nome è un tributo alla piccola Isabel, uno scricciolo biondo che salta tra le vigne, ultima arrivata della famiglia.
Siamo arrivate da Elisa e Silvia la scorsa domenica mattina, un cielo che prometteva pioggia sin dalle prime luci e un’arietta fresca e leggera che portava il profumo della terra scura, ancora umida e smossa dal temporale della sera prima. Ad accoglierci, insieme alle “fiole” anche Isabel, Angela ed Enzo. Mentre Elisa iniziava a preparare l’occorrente per la nostra degustazione, Silvia ci ha accompagnato tra i filari per una visita delle loro vigne. “Quando eravamo ragazze ci piaceva aiutare papà nella vigna, trascorrevamo interi pomeriggi insieme a lui. Vedete, a quel tempo la nostra famiglia coltivava le uve e le conferiva alla Cantina Sociale. Mio nonno aveva sempre voluto iniziare a vinificare, ma non ha mai avuto modo. Io e mia sorella abbiamo deciso di prendere in mano l’azienda e di coltivare il suo sogno“.
La prima vendemmia
É proprio vero che la prima vendemmia non si scorda mai. “Risale alla mia infanzia“, racconta sempre Silvia, “Ricordo che era un periodo bellissimo perché tutto l’Oltrepò si animava e famiglie intere si riunivano per la raccolta dell’uva. Io ed Elisa eravamo molto piccole, ma già facevamo la nostra parte, con i secchielli da spiaggia e le forbicine dalla punta arrotondata, insieme a nostro padre sul trattore. Ci piaceva tantissimo dare il nostro piccolo contributo!“. E oggi? L’ultima vendemmia è stata bella, forse anche di più di quella prima, arrivata alla fine di un anno duro, il primo di pandemia, che ha messo a dura prova anche Lefiole. “Siamo nate da poco, ci siamo da subito prese cura della produzione del vino, per cui ci affianca l’enologo Guido Beltrami; della cura della vigna ancora si occupa il nostro papà, lo puoi vedere in qualsiasi stagione sul suo trattore passare tra i filari. Avevamo appena iniziato un giro di promozione quando è arrivato il Covid e lì si è fermato tutto“. Così è iniziata l’avventura di Lefiole nel mondo del digitale, con tante collaborazioni nate per avvicinare le persone grazie e attraverso il vino; l’esperienza delle degustazioni a distanza e, dallo scorso aprile, in Vite Storie di Vino e di Donne: “Il vostro progetto ci ha subito colpito e ne facciamo parte con orgoglio” ha scritto Silvia su LinkedIn qualche giorno dopo la nostra visita (e, a noi, è scattata la lacrimuccia!).
La degustazione in terrazza
La degustazione da Lefiole si fa sulla terrazza della casa gialla dove sono cresciute, a Montalto Pavese. La vista, stupenda, sulle vigne, un cartello in testa a ogni filare che dichiara il vitigno in coltivazione; la cantina, dove avviene la vinificazione delle uve, sul pendio proprio di fronte. Chiediamo a Silvia ed Elisa di degustare le due annate di Elivià, contenute nel cofanetto degustazione che propongono su Vite, di assaggiare Alenè, il Pinot Nero, e con la nostra faccia tosta anche una delle selezionatissime prime bottiglie di Isabèl, il primo Metodo Classico dell’azienda, che prende il nome dalla figlia di Silvia, che ha giocato con noi per tutto il tempo in cui siamo rimaste ospiti nella casa gialla. Ad accompagnare i vini c’è la focaccia con i pomodorini preparata dal Sciur Garo, il panettiere del paese, insieme ai prodotti del territorio, il miccone, il pane di Pavia e provincia, il salame di Varzi, il formaggio della Val Staffora e la Lombata al Pinot.
I profumi e i sapori dell’Oltrepò ci riempiono il naso, la bocca e le dita. Ci confortano, con le prime gocce di pioggia che iniziano a cadere, le foglie delle viti intorno a noi che si allargano ad accoglierle. La siccità, la pandemia, non sono stati due anni facili per le artigiane dell’uva. Ammiriamo la grinta e la consapevolezza delle “fiole”, che sanno di avere un buon prodotto, perché fatto con amore e competenza, e desiderano farlo conoscere sempre di più. Salutiamo con il sorriso Elisa e Silvia, consapevoli che il nostro impegno con Vite è proprio quello di dare una mano, seppur nel nostro piccolo.
Vuoi partecipare anche tu a #viteincantina? Scopri tutte le cantine aderenti qui.
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