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Va dove ti porta il… vino

Giulia Ciampolini è un’esploratrice del mondo del vino. Ogni mese la sua newsletter, la sua Guida Galattica per Enostappisti, accompagna le persone alla scoperta di qualcosa che prima non sapevano e ci insegna che quando decidiamo di fermarci alla prima impressione, spesso ci perdiamo tutto il divertimento

Ho iniziato a seguire Giulia Ciampolini – 32 anni da una manciata di settimane, sommelier, esperta di comunicazione digitale del vino e crossfit addicted – per il titolo della sua newsletter. L’ispirazione è chiara ed è il romanzo di Douglas Adams “Guida Galattica per Autostoppisti”, una storia che ho amato molto e grazie a cui non viaggio mai senza un asciugamano. Da quando seguo Giulia non viaggio mai anche senza apribottiglie, ma questa è un’altra storia. O forse no. Perché se c’è una cosa che mi ha insegnato quel romanzo è che, per quanto ci si possa sforzare, la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto non solo non può che essere (spoiler) 42, ma soprattutto non capirò mai il perché e va bene così. Nella sua Guida Galattica, invece, Giulia Ciampolini si e ci pone sempre un sacco di domande e ci regala un sacco di buone bottiglie come risposta. A lei, che di calice in calice ci ricorda che quando decidiamo di fermarci alla prima impressione, spesso ci perdiamo tutto il divertimento, abbiamo dedicato la terza puntata di Talea, il progetto editoriale di Vite che raccoglie storie belle per rifiorire.

Oggi il vino è il mio posto sicuro. Dove sento di potermi esprimere liberamente. 

Giulia, perché una newsletter sul vino?

Per gioco! È stato durante la pandemia. C’era ancora Twitter e lì un giorno una ragazza mi chiese di fare un post sui vini da acquistare online, per tutte le persone in zona rossa. Iniziai a pubblicare un vino al giorno su Instagram. Con la fine della pandemia dovetti tornare in ufficio, il mio tempo a disposizione si dimezzò e così smisi di pubblicare. Flashforward a un paio di anni dopo: conosco per caso la piattaforma Substack e penso che sarebbe figo trasformare quel tentativo in una newsletter sul vino che arriva una volta al mese. Volevo essere libera dal lunatico algoritmo che regola le logiche di Instagram e soprattutto esonerata dal dover impazzire per fare reel. C’è qualche esempio sul mio profilo Instagram abbastanza imbarazzante. Così ho iniziato a consigliare bottiglie – secondo me – meritevoli, link con articoli per esplorare il mondo del vino e raccontare le basi della degustazione per chi vuole capirlo meglio, una parola o concetto alla volta alle persone appassionate di vino, che ho chiamato affettuosamente “enostappisti”.

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Chi sono gli enostappisti e le enostappiste?

Onestamente non ne avevo idea fino a qualche settimana fa. Poi ho deciso di creare la Guida Galattica per Enostappisti 3.0, passando da una newsletter a un corso di approccio al vino un po’ atipico: così ho pubblicato un sondaggio, per capire il potenziale interesse di chi mi segue. Posso dirti, in base ai risultati raccolti finora, che tra il pubblico attuale ci sono alcuni sommelier, persone che conoscono il vino, ma anche tante persone che vorrebbero solo saperne di più. Un bel mix! 

Il vino per te è stato amore a prima vista?

Curiosità a prima vista, sicuramente. Poi abbiamo avuto un rapporto caratterizzato da alti e bassi. Ho incontrato il vino per la prima volta mentre scrivevo la tesi di laurea magistrale in Inghilterra. Non sapevo bene quale argomento scegliere, sapevo solo di voler parlare di Made in Italy. Un giorno, per caso, mi imbattei in un articolo del Sole 24 Ore in cui veniva menzionata la crescita del comparto in Italia. Era il 2015: scrissi la tesi sull’utilizzo dei social media da parte di Frescobaldi, Masi e Banfi. Dopo la laurea tornai in Italia, mi iscrissi a un master sul marketing del vino, diventai sommelier e iniziai a lavorare per un imbottigliatore. Oggi lavoro per un’azienda che ha come obiettivo quello di comunicare il vino al meglio e mi occupo di comunicazione digitale e di marketing nel settore enologico. Ma il vino è sempre il mio posto sicuro. Dove sento di potermi esprimere liberamente. 

Il tuo abbinamento cibo+vino preferito?

Pizza e lambrusco, senza ombra di dubbio.

L’abbinamento che invece piace a tutti tranne che a te?

Ostriche e Champagne. Quando mangiavo pesce, le abbinavo con il Muscadet sur lie. Sono una grande fan degli abbinamenti territoriali.

Il vino è un ottimo pretesto per…

Viaggiare, conoscere se stessi, conoscere nuove persone, fare sport tutti i giorni, mettersi in discussione, leggere, studiare, mangiare, insomma, vivere.

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La domanda più strana che hai ricevuto dalla community enostappista?

Negli anni ho scoperto che gli enostappisti e le enostappisti sono persone molto attente e le loro domande di solito sono di approfondimento sugli argomenti trattati nella newsletter o consigli su vini da comprare. Invece, non potrò mai dimenticarmi quello che mi disse una ragazza che conoscevo poco, ma che, venne fuori per caso, era appassionata di vino e leggeva la mia newsletter. È stato durante un momento abbastanza difficile, ero molto stressata per il lavoro e un infortunio che mi aveva tenuto lontano dal box di crossfit per un po’; non dico che volessi smettere di scrivere, ma ero molto affaticata e mi domandavo spesso che senso avesse la mia newsletter. Un giorno, parlando con una ragazza è venuto fuori che non si è mai persa un episodio della Guida, sin dal primo che ho pubblicato. Mi ha scaldato il cuore. Ho pensato che, se esiste un senso al pubblicare questa newsletter, sta tutto lì, nelle persone che ci sono dall’altra parte e che mi leggono.

Un consiglio che daresti alle persone che ti stanno leggendo in questo momento?

Non abbiate paura di fare domande: al sommelier dell’Esselunga, all’enotecario sotto casa, a Google, ma anche a voi stessi e voi stesse: ascoltatevi, fidatevi del vostro gusto personale e diffidate invece dei dogmi. La chiave per un buon abbinamento, la risposta alla domanda fondamentale dell’universo del vino, sta tutta qui.

La prossima puntata della Guida Galattica per Enostappisti sta per uscire, parla anche di Vite e ci si iscrive QUI. Oppure potete seguire Giulia su Instagram, dove la trovate come @ciampovini

i migliori newsletter podcast italiani sul vino per amanti del vino

I migliori podcast e newsletter italiani sul vino da non perdere

Wine essentials per chi ama il vino a tal punto che non vuole solo berlo, ma anche leggerlo e ascoltarlo

A volte capita di voler sapere un po’ di più su quello che abbiamo nel bicchiere e su chi l’ha prodotto (Vite, in fondo, è nato cinque anni fa da questa stessa curiosità). Poi, c’è anche chi va oltre e che quindi pensa che restare aggiornati sulle ultime tendenze e scoperte enologiche sia fondamentale. Sebbene il modo migliore resti quello di assaggiare il più possibile, abbiamo esplorato la vasta gamma di podcast e newsletter dedicati al mondo del vino in lingua italiana, che permettono di esplorare nuove etichette, conoscere storie di produttrici e produttori e scoprire anche eventi davvero interessanti. In questo articolo, trovi la nostra selezione dei migliori podcast e newsletter italiani sul vino.

6 podcast e newsletter italiani imperdibili per le e gli amanti del vino

  1. Donne Vino e Segreti, il podcast dell’Associazine Nazionale Donne del Vino: un podcast per ispirare, emancipare e portare consapevolezza sul ruolo e sulla professionalità delle donne nel mondo dell’industria vitivinicola italiana. A ogni puntata Giulia Blasi e Laura Donadoni dialogano con alcune tra le più note produttrici italiane in uno scambio generazionale che fa bene al cuore (e al settore intero). Si ascolta qui.
  2. Vino sul Divano, il podcast di Jacopo Cossater: un podcast che raccoglie alcune delle più originali e interessanti voci del vino italiane, una chiacchierata durante la quale ascoltare il loro percorso e alcune delle loro storie. Si ascolta qui.
  3. Vino al Vino 50anni dopo, di Paolo De Cristofaro e Antonio Boco di Tipicamente: un podcast che ripercorre i viaggi d’assaggio che Mario Soldati fece nel 1968 per scoprire cosa troviamo oggi nei luoghi esplorati da Soldati, chi li abita, chi li coltiva e che vini produce. Si ascolta qui.
  4. VinoNews 24, dell’omonima redazione: un podcast dove i protagonisti e le protagoniste del vino italiano (tra cui anche l’artigiana dell’uva Francesca Seralvo) commentano in esclusiva eventi, progetti e nuove etichette. Si ascolta qui.
  5. Guida Galattica per Enostappisti, di Giulia Ciampolini: una newsletter che va in esplorazione del mondo del vino e che ogni mese regala bottiglie, consigli, anneddoti e informazioni a chi la riceve. Si legge qui.
  6. La newsletter di Vite: che arriva ogni volta che abbiamo una storia particolarmente bella da raccontarti e un vino particolarmente buono da consigliarti. Si legge qui.
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Come raccontare il tuo vino

#wineKitdiSopravvivenza: abbiamo chiesto a Giulia Ciampolini, sommelier ed esperta di marketing del vino, i suoi 2cent per le cantine che vogliono raccontarsi in modo efficace

Anche nel mondo del vino, come in tutti i mondi attualmente possibili, la comunicazione gioca un ruolo fondamentale. Quando abbiamo intervistato Giulia Ciampolini per Talea ne abbiamo approfittato e le abbiamo chiesto in che modo una cantina oggi può comunicare in modo efficace i suoi vini, differenziandosi dagli altri produttori e produttrici, attrarre nuovi clienti e mantenendo una relazione positiva con quelli già esistenti. Quante cose, vero? Con una strategia di comunicazione ben definita, ogni cantina può raccontare la storia unica del suo vino, coinvolgere il pubblico e costruirsi un’identità riconoscibile e che ispiri fiducia nelle persone. In questo articolo, in collaborazione con lei, esploreremo alcune delle migliori pratiche di comunicazione per le cantine, concentrandoci su come utilizzare lo storytelling, i social media e gli eventi per promuovere efficacemente il vino e chi lo fa.

Comunicare il vino: come e perché?

Oggi uno degli obiettivi di comunicazione delle cantine deve essere quello di raccontare in modo efficace i propri prodotti, puntando su quanto differenzia ciascuna produttrice o produttore dagli altri del proprio territorio. L’Italia, infatti, ha una così alta varietà di realtà vinicole che se da un lato la concorrenza è altissima, dall’altro c’è davvero spazio per tutte e tutti. Il marketing del vino oggi deve partire da uno storytelling che intreccia le storie delle persone alle storie del vino e che comprende social media, eventi enologici, enoturismo, visti come parti di un unico grande organismo. Un po’ come quando da tanti vini base si deve trovare la ricetta perfetta affinché, mixandoli, si raggiunga il vino perfetto, così la cantina che vuole promuovere il proprio vino in modo efficace, deve avere sempre in mente che differenziazione, coerenza e ascolto, sono gli elementi imprescindibili per chi vuole comunicare bene in questo settore.

Consigli pratici per una comunicazione efficace nel settore vinicolo

Abbiamo chiesto a Giulia Ciampolini, sommelier ed esperta di marketing del vino, di condividere alcuni dei suoi punti fermi quando si trova a fare una consulenza di comunicazione a una cantina a una persona che promuove il vino per altri. Ecco la sua lista di quattro consigli pratici per una comunicazione efficace nel settore vinicolo, con qualche commento da parte nostra.

  1. Scegliere con cura gli spazi da abitare. Comunicare il vino richiede cura, impegno costante e dedizione. Spesso chi fa il vino ha tempo e competenza di fare solo quello, che è già molto. Allora, o si ha la possibilità di affidare a una o un professionista la comunicazione della propria cantina, oppure si deve fare una scelta dei media che si sceglie di utilizzare: fate caso a quali sono i canali dove vi piace di più stare, dove si incontrano le persone più interessanti, dove vedete che il vostro pubblico è più attento. E una volta fatta questa selezione, cercate di trascorrere del tempo contribuendo alla conversazione, raccontando la vostra storia.
  2. Scegliere il taglio della comunicazione. Deve esserci continuità e coerenza tra l’esperienza vissuta in cantina e quella vissuta online. L’enoturismo oggi porta a una cantina circa il 10% del fatturato (dati del Sole24Ore sul 2023): è una leva importantissima per le cantine e il modo migliore per sfruttarla è quella di pensare all’esperienza online come un continuum di quello che si è vissuto in cantina e viceversa. Le persone entrano in contatto con noi in entrambi i mondi, e modi, ed è molto importante mantenere la relazione con loro se abbiamo come obiettivo poi la fidelizzazione e la vendita dei nostri vini.
  3. Ok la strategia, ma non dimentichiamo la spontaneità. 
  4. Parla di cose che interessano al pubblico. Basta con “tradizione, qualità e innovazione”. Cerca ciò che rende la tua storia e il tuo vino unico e raccontaci di quello.

Giulia Ciampolini ha una newsletter che si chiama Guida Galattica per Enostappisti dove ogni mese racconta le sue esplorazioni del mondo del vino e propone bottiglie da assaggiare. Nella prossima puntata parlerà anche di Vite (ci si iscrive QUI)

bere da sole donne come fare

Tavolo per uno: bere da sole si può e perché è un’esperienza che dovresti provare

Un calice di vino in solitaria è uno dei grandi piaceri della vita, aumenta l’autostima e ci insegna a godere della compagnia di noi stesse. Ma per molte donne bere da sole è ancora un tabù

Perché non riusciamo a bere da sole? Secondo le persone che ci seguono su Instagram, il motivo per cui le donne fanno fatica a godersi un calice di vino in solitaria è perché temono di essere importunate o che stanno compiendo il primo passo verso l’alcolismo. Per la maggior parte delle persone che hanno risposto al nostro sondaggio, poi, bere è un’attività sociale e il vino, in particolare, è associato ai momenti in famiglia, con le amiche o con partner. Facendo qualche ricerca, abbiamo persino scoperto che per alcune persone mangiare e bere da sole è una vera e propria fobia, al pari dei ragni e delle altezze. Ma che dire invece di quelle volte in cui godersi il proprio bicchiere in solitaria, proprio come mangiare, fare sport, andare al cinema o viaggiare da sole, offre un’opportunità di concentrare l’attenzione solo ed esclusivamente su noi stesse, su come stiamo, su come ci stiamo godendo il momento e anche su quello che stiamo bevendo? A questo punto viene da chiedersi se non siamo finite, di nuovo, in quel meccanismo per cui – poiché pensare al benessere delle altre persone e la cura come vocazione biologica sono parte della nostra educazione come donne nella nostra società – ogni volta che ci concediamo di metterci al centro, finiamo per sentirci in colpa così tanto da smettere di desiderare di farlo. Anche lo sguardo dall’esterno ne è intriso e il pregiudizio secondo cui “le donne bevono solo per darsi un tono” è andato in onda al Tg2 soltanto una manciata di mesi fa a rafforzare l’idea che fare cose da sole non è per noi. A meno che non si tratti di crescere figli, curare genitori anziani e lavare i sanitari del bagno, tutti compiti di cui continuiamo a occuparci in esclusiva.

Birra affinata in barrique esauste con tagliere di formaggi che ho ordinato durante il mio viaggio in solitaria ad Amsterdam

Fare cose da sole aumenta l’autostima, ci fa sentire più consapevoli e forti e ci insegna a godere della compagnia di noi stesse

Andare al cinema, uscire a cena, fare un viaggio e sì, perché no, anche bere qualcosa, a casa o fuori da sole ha incredibili vantaggi: aumenta l’autostima, ci fa sentire più consapevoli e forti e ci insegna a godere della compagnia di noi stesse. Lo scopre rapidamente chi ci prova: riappropiarsi di questi spazi e tempi che abbiamo sempre pensato di dover abitare in compagnia è un modo straordinario per prenderci cura di noi stesse. Banalmente perché in quei momenti esistiamo solo noi e, senza dover necessariamente usare un libro o il nostro telefono come barriere nei confronti del mondo esterno, finalmente possiamo dedicarci tutta l’attenzione che di solito tendiamo a dare (prima) alle altre persone. Cenare fuori da sola o versarti un calice di vino, oltre a essere una forma di cura di sé, è anche un modo per trarre il massimo della soddisfazione da un’esperienza: l’ambiente, i sapori, gli odori, le consistenze, i suoni attorno a noi sembrano espandersi.

Non si è mai sentito di un uomo che fa tutte queste storie quando tornato a casa dal lavoro si apre una birretta e si mette sul divano

Senza qualcuno da intrattenere, possiamo sederci con i nostri pensieri, osservare il mondo, degustare quello che abbiamo nel calice o persino – ed è il mio guilty pleasure quando viaggio da sola – ascoltare cosa si dicono le altre persone presenti nella stanza e, da quei brandelli di storie, immaginare le loro vite. E con il senso di colpa come si fa? Anzitutto, lo si riduce a quello che è: un riflesso di una società che ci vorrebbe solo appendici. Non si è mai sentito di un uomo che fa tutte queste storie quando tornato a casa dal lavoro si apre una birretta e si mette sul divano. Se vuoi tanto visitare un posto, ma non c’è nessuno che viene con te, non rinunciare, parti. Se sei in viaggio per lavoro e c’è un ristorante che vorresti provare, prenota. Se quando stai rientrando dal lavoro vedi un’enoteca carina e ti viene voglia di fermarti per un bicchiere di vino prima di tornare a casa, fermati e ordina un bicchiere di vino. Questo non fa di noi delle perditempo. Né delle alcolizzate (a meno che non vi rendiate conto che utilizzate l’alcool per sostituire altro, allora in questo caso, vi consigliamo di chiedere aiuto*). Siete solo donne che hanno voglia di vivere, bere, di mangiare, di viaggiare, di passeggiare. Da sole. Ed è ora che iniziano a normalizzare i nostri desideri.

Uscire da sola a passeggiare è una delle mie attività preferite

5 consigli per provare a bere da sola (senza sensi di colpa)

Iniziare può però non essere facile. Abbiamo stilato una lista di cinque consigli se vuoi provare a bere da sola (ma possono valere anche se vuoi viaggiare, andare al ristorante, passeggiare o guardare un film in solitaria).

  • Prima volta da sola? Procedi un passo alla volta – Se non l’hai mai fatto prima, è più facile se scegli un posto a te familiare o a te vicino. Prima di ordinare un Frozen Magarita in una piscina a Dubai, ci sono stati tanti altri viaggi e bicchieri più vicino a casa. Ecco, iniziare a bere da sola nella comfort zone del tuo soggiorno o di un locale che già frequenti abitualmente, rientra perfettamente nel senso di questo consiglio.
  • Prepara la tua esperienza in anticipo – Su internet si trova tutto. Se vuoi uscire a bere qualcosa mentre sei in vacanza o mentre rientri dal lavoro, puoi cercare online il posto che ti ispira di più. E magari trovare già un’alternativa in fase di pianificazione, renderà più facile da un lato tenere a bada quel mix di ansia ed eccitazione che si prova durante le prime volte e dall’altro gestire la possibilità che il posto potrebbe essere pieno o chiuso.
  • Decidi dove vuoi sederti – Un tavolo appartato può essere la scelta giusta se vuoi concentrarti su quello che stai bevendo. Se invece stare da sola in mezzo alla gente ti intimidisce, puoi chiedere di sederti al bancone: sarà interessante vedere all’opera chi prepara i drink e potrai sempre scambiare qualche parola con lo staff qualora il non essere abituata a trascorrere del tempo da sola ti potrebbe far sentire a disagio.
  • Fai quello che ti senti di fare – E non quello che faresti di solito. Ascoltati e goditi la tua compagnia e se sai che per goderti appieno un bicchiere di vino, per esempio, ordinare un piatto in abbinamento o leggere un libro sono una buona idea, ordina del cibo o tira fuori il libro dalla borsa.
  • Vai via quando hai voglia – Questa è un’esperienza che stai facendo per te. Se senti di volertene andare, chiedi il conto oppure semplicemente svuota il bicchiere nel lavandino e passa ad altro. Se il motivo per cui non bevi da sola a casa è perché non finiresti la bottiglia da sola e non ti va di sprecare il vino al suo interno, dotati di un tappo sottovuoto che funzioni.
Dubai, piscina e un Frozen Margarita

Infine, ti lasciamo anche qualche link utile per provare a fare da sola altre cose come viaggiare, qui il Gruppo Facebook delle donne italiane che viaggiano da sole, oppure camminare, qui sempre il Gruppo Facebook dedicato. Se conosci altri gruppi o community di donne che amano fare cose da sole e che condividono consigli, itinerari o altro, segnalaceli: sarà bello creare una lista di indirizzi utili per riappropiarci tutte insieme di questi nuovi spazi di libertà (individuale e per tutte).

* se senti di aver bisogno di aiuto perché temi di aver sviluppato una dipendenza da alcol, puoi rivolgerti ai servizi per le dipendenze presenti sul tuo territorio. Oppure contattare il numero verde del Ministero della Salute (trovi maggiori dettagli qui).

marchesini winery viteincantina degustazione

Wine Together Happy Together: #viteincantina dalle sorelle Marchesini

Il piacere di portare il vino a tavola. Racconto di un pranzo d’estate sul Lago di Garda insieme a Erika e Giorgia Marchesini

Uno dei motivi per cui non perdiamo l’occasione di andare a trovare le artigiane dell’uva nelle loro cantine è perché l’ospitalità è sempre ottima, il vino sempre buono e c’è sempre qualche delizioso piatto inaspettato. Indimenticabile la torta al formaggio che abbiamo condiviso con Chiara Lungarotti mentre ci faceva assaggiare il suo Rubesco, la robiola d’Alba, freschissima, con il Beami Sempre Rosato da Beatrice Cortese, i salumi di Alice Castellani insieme al suo Timorasso, la crema alle nocciole di Nadia Verrua, per non parlare dei crostini toscani in abbinamento all’Elleboro di Podere Conca, le mandorle speziate che Lefiole ci hanno fatto trovare in abbinamento al loro Pinot Grigio, la torta al cioccolato con i lamponi in abbinamento al Noir Pinot Nero da Tenuta Mazzolino e il parmigiano reggiano degustato insieme al Lambrusco da Venturini Baldini. Questa volta le sorelle Marchesini ci hanno addirittura invitate a pranzo e con loro, neanche a dirlo, abbiamo parlato proprio del piacere di portare il vino a tavola.

Il tavolo di fronte a me, dopo l’antipasto a base di croissant salati in abbinamento al Coralin Chiaretto di Erika e Giorgia Marchesini

Il piacere di portare il vino in tavola: quando fare un vino buono è un affare di famiglia

“Facciamo vini di facile beva, perché così il vino porta gioia tutti i giorni” appena arriviamo Erika Marchesini mette subito le cose in chiaro: “Mio padre dice sempre che il vino può essere perfetto, ma se non ha un gusto che non è buono, hai un vino perfetto che va sprecato. Per questo, i nostri vini non sono fatti per aspettare la grande occasione, ma per rendere ogni occasione grande”. A tavola con Erika si imparano un sacco di cose, non solo sul modo che lei e sua sorella Giorgia hanno deciso che sarebbe stato il loro modo di fare vino, ma anche che il modo in cui si porta il vino a tavola deve rispettare l’anima del vino stesso. “Il Bardolino, per esempio, è un vino che è stato bistrattato per anni. Troppo vicino geograficamente alla Valpolicella, è finito per diventare con il tempo “solo” il vino da tavola, ma in realtà è un grande vino”. Impariamo così che, per esempio, il loro Farfilò va servito fresco per far risultare tutta la sua eleganza. Ce lo serve così anche lei, in abbinamento a un buonissimo riso integrale freddo con pesce, pomodoro e zucchine.

“I nostri vini non sono per aspettare la grande occasione, ma per rendere ogni occasione grande” Erika Marchesini

Siamo fortunate e abbiamo la possibilità di assaggiare tutti i vini prodotti dalle sorelle Marchesini. E con nessuna sorpresa scopriamo che la loro linea di punta si chiama proprio La famiglia a Tavola. Ci sono tutti i grandi classici di questo lato del Garda, quindi non solo Bardolino e Chiaretto, ma anche blend dei vitigni autoctoni Corvinone, Molinara e Rondinella e Chardonnay e Sauvignon per gli internazionali. Menzione d’onore va al loro Pinot Grigio (ahimè è una produzione troppo piccola che viene da una vigna vecchia di più di quarant’anni vendemmiata a mano, perché finisca in uno dei loro cofanetti degustazione, ma se avete l’occasione di passare da Lazise andate a trovarle anche voi nella loro cantina e assaggiatelo!) che noi degustiamo in abbinamento a una galette alla trota salmonata e verdure fresche con maionese alle erbe. A fine pasto, al posto del dessert, chiediamo di assaggiare nuovamente il Coralin Chiaretto, che aveva in realtà aperto il pranzo in abbinamento all’antipasto di croissant salati.

Dieci ettari dislocati in luoghi diversi perché ogni vino ha un’anima diversa

Questa l’eredità che il papà Marcello ha lasciato a Erika e a Giorgia. Oltre a un vigneto, chiamato Dei Santi, dove il nonno coltivava le uve autoctone e produceva vino solo per la famiglia. “A noi piace il fatto di avere i vigneti sparsi in luoghi diversi, perché ci piace avere vini diversi, ma anche andare sul sicuro: con la crisi climatica in atto, la saggezza dei nonni che coltivavano varietà diverse per aumentare la possibilità di avere un raccolto a fine stagione, torna oggi più che mai”, ci spiegano. Il Fasanel, il vento che sale dal lago, tiene asciutte le uve e aiuta contro la peronospora, ma quando diventa troppo forte, rischia di provocare danni seri. Allo stesso modo, non mantengono la coltivazione tradizionale a pergola veronese ovunque, ma sono passate al guyot laddove era più conveniente e in generale vendemmiano prima per avere più acidità e meno alcol e zucchero nel vino. Una combo fondamentale, che costituisce anche un raccordo importante tra la tradizione dei padri (è proprio il caso di dirlo) e il futuro che è in mano alle donne. Soprattutto se l’obiettivo è quello di avere vini che è un piacere portare a tavola.

beatrice cortese vini visita in cantina langhe

Vino ti amo: #viteincantina da Beatrice Cortese Vini

Piccola storia di come un piccolo sogno può diventare realtà grazie a un grande amore, quello di Beatrice Cortese per il vino

Mentre siamo in auto per raggiungere Bricco di Neive, nel cuore del territorio di produzione del Barbaresco, dove Beatrice Cortese ha fondato la sua cantina sotto la casa dove è cresciuta, sto leggendo “Storie di coraggio” di Oscar Farinetti. Il libro ha come sottotitolo “Vino, ti amo!” e mentre ci inerpichiamo sulla cima di questa collina, tra i filari delle viti che quest’anno che piove un giorno sì e uno pure – e infatti anche oggi il tempo non è dei migliori e dunque è perfetto per degustare nebbiolo! – sono di un verde brillante, non posso fare a meno di pensare che dev’essere vero amore anche quello che prova Beatrice per la sua terra e per i suoi vini.

Beatrice Cortese è nata nel 1994 ed è l’ultima arrivata su Vite. Non potevamo iniziare che da lei il viaggio itinerante che tutte le estati ci porta a visitare le cantine delle artigiane dell’uva e che per questo abbiamo felicemente battezzato #viteincantina. La cantina di Beatrice è appena stata rimessa a nuovo. Per farlo, Beatrice ci confida appena scese dell’auto, che ha dovuto sfidare la nonna togliendole dei filari del piccolo orto casalingo: “Qui è ancora tutto come una volta. Tra le vigne si è sempre coltivato altro. Ora, vedi” aggiunge indicando l’altro versante della collina dove, inconfondibili, le foglie di salvia crescono poco al di sotto delle viti “nonna si è già ripresa lo spazio che le abbiamo dovuto togliere per costruire la rampa di accesso alla nuova cantina. Ma l’avevo già convinta perché nella sua vecchia vigna ci ho ripiantato la Barbera, come piace a lei”. Il mondo di Beatrice è tutto racchiuso tra la cima di questa collina, dove c’è la casa di famiglia e gli ettari di Nebbiolo e Barbera, che sono a metà suoi e dello zio, e la collina successiva, inframmezzati tra boschi e noccioleti. “Siamo nel cuore del Barbaresco“, ci racconta, “Qui i terreni dell’uno e dell’altro sono così attaccati che solo noi sappiamo quando finisce il nostro e quello del vicino. Ora si fa prevalentemente Nebbiolo e Barbera, ma un tempo, dato che non siamo neanche troppo lontano dalla zona più vocata per la produzione del Moscato Spumante, si coltivava moscato come unica uva bianca”.

Non sono una persona paziente e ho tante idee, ma ho così tanto da fare che aspettare non è un problema, Beatrice Cortese

Tu cosa coltivi, Beatrice? Le chiediamo, anche se, dato che conosciamo i suoi vini da tempo, già conosciamo la risposta: “Io faccio solo vini rossi, Nebbiolo e Barbera, e un rosato sempre dalle stesse uve, che sono le uve più vocate di questo territorio. Per ora”, aggiunge con un un sorriso furbo facendoci nascere un’enorme curiosità. Continuiamo a farle domande sul futuro mentre scendiamo le scale che portano alla nuovissima stanza di affinamento dove, per ora – è obbligatorio dirlo, Beatrice ha fondato la sua azienda soltanto cinque anni fa, la sua prima vendemmia ufficiale è stata quella del 2022 – riposano due barrique e un’anfora, che Beatrice ha comprato perché dall’anno scorso ci fa affinare la sua barbera Barbea.

Risaliamo le scale e ci dirigiamo verso la grande terrazza che ha una vista mozzafiato sulle sue colline. Peccato che piova anche oggi e così Beatrice ci fa accomodare nella sala di degustazione. Ci offre nocciole tostate e un formaggio fresco locale che ci fa piangere da quanto è buono. Mentre prepara i bicchieri, noi la riempiamo di domande. Perché hai deciso di fare il vino, Beatrice? “Non ho mai immaginato di voler fare altro. La mia famiglia fa il vino da sempre e io sono cresciuta qui. Ma prima di volere una cantina mia, in realtà, pensavo di voler fare altro. Ho studiato per diventare sommelier e ho lavorato in diversi ristoranti stellati prima di tornare nelle Langhe e lavorare alla Banca del Vino di Pollenzo. Poi, poco prima del Covid, mio padre mi ha chiamata e io ho detto: perché no?“.

Come si inizia a fare il vino per mestiere? “Anzitutto, serve studiare. E un buon capitale di partenza, non solo in termini economici, ma soprattutto di terra: per fare un buon vino, serve una buona vigna. Io dalla mia parte avevo mio zio, che ha sempre fatto vino, e il fatto che ci troviamo in un territorio particolarmente vocato come quello delle Langhe. Qui, la vite può crescere tra la biodiversità garantita dai boschi e dai noccioleti, su un terreno che è uno dei migliori al mondo, marna, calcare e argilla, ma anche tufo, sull’altro versante della collina, che danno al nebbiolo personalità diverse: austero ed elegante da un lato, fresco e ammiccante dall’altro. Poi, la mia formazione negli stellati ha aiutato: ho una grande disciplina e una grande determinazione, oltre alla grande consapevolezza che oggi per mandare avanti un’azienda vinicola non è sufficiente avere un buon prodotto e venire da un territorio vocato”. Come si dice in questi casi, anche la Nutella per vendere deve farsi pubblicità. “Esatto, io amo troppo il vino per rischiare di farlo male, per questo sin da subito ho scelto un buon enologo e anche una buona agenzia di comunicazione che mi seguisse nell’elaborazione del marchio Beatrice Cortese Vini, dal logo, al sito, fino ai nomi dei vini e alle loro etichette che ho realizzato a sei mani insieme alla mia grafica Barbara Scerbo e a Senz’H illustratrice di grande talento”. Tutte donne, è? “Oh sì!”.

Qual è la cosa più importante per te nel fare il vino?Fare un vino buono e rispettoso dell’ambiente da cui proviene. Per coltivare le mie uve faccio la lotta integrata, che significa che aiuto soltanto la natura a fare del suo meglio, senza intervenire con agenti chimici o con interventi troppo invasivi. Oggi faccio circa 10mila bottiglie, tra Nebbiolo e Barbera e faccio un vino che piace a me. Nel futuro voglio dare il massimo a questo territorio e per questo ho fatto un bando per fare il Barbaresco: voglio crescere e migliorare sempre di più. E l’anno prossimo uscirà una nuova etichetta, una bollicina, su cui per ora non dico niente, dovrete aspettare anche voi la fine dell’anno!”. Siamo così curiose che riusciamo a farci dire almeno il suo nome, ma le promettiamo che saremo brave e non faremo spoiler. Ma è facile dire di sì, i vini sono finalmente pronti nei calici e noi possiamo iniziare la nostra degustazione. Io prendo appunti che, da quando sono diventata sommelier, è un piacere che non riesco proprio a togliermi (anche se i più puristi tra voi che leggere magari inorridiranno quando aggiungerò che non ho disdegnato nemmeno le nocciole!). Beatrice è anche un’ottima comunicatrice del vino, si vede che ha lavorato per anni in questo settore, e mentre noi assaggiamo parliamo anche di imprenditorialità, di leadership, dei pessimi capi che abbiamo avuto e di quelle – il femminile è d’obbligo ambo le parti – che ci hanno insegnato molto. Abbiamo quasi la stessa età e condividiamo le gioie e le fatiche dei trent’anni, che Beatrice compirà quest’anno. “La cosa più difficile è farsi prendere sul serio, quando sei donna e sei giovane. Ma io ho fiducia nel mio vino, ce la farò”, glielo auguriamo tantissimo e, quando ci salutiamo con la promessa di rivederci presto, magari dalle nostre parti dopo la vendemmia, siamo contente di poter sentire che anche noi stiamo facendo la nostra parte. Per Beatrice, per tutte le artigiane dell’uva e anche per le donne come noi, che continuiamo a mettercela tutta per diventare grandi e realizzare i propri progetti.

Appunti di degustazione: i vini di Beatrice Cortese

Rosato Beami Sempre: 100% nebbiolo, annata 2022, ha un colore rosa tenue che assomiglia a quello dei tramonti sul mare. Si colora infatti nella pressa, perché Beatrice vinifica le uve di Nebbiolo come se dovesse fare un vino bianco. Al naso delicato come i piccoli frutti di bosco, in bocca si sente soprattutto la struttura del Nebbiolo e un interessante accordo di spezie. Sull’etichetta, una ragazza libera nella natura, rappresenta la facile beva di questo vino.

Barbera Barbea: annata 2022, l’ultima per cui Beatrice userà solo acciaio per l’affinamento (dall’annata 2023, sta usando l’anfora). Al naso e al gusto è un vino in cui si sente la ciliegia croccante, di quelle succose che quando stacchi il picciolo con le dita senti in bocca un bel “toc”. In etichetta c’è Venere, solo che al posto del pomo della discordia c’è un grappolo, per ricordare l’amore del vino e l’affinamento in anfora. Si chiama Barbea perché sono le barbatelle che ha piantato Beatrice stessa. Diventa subito la nostra preferita.

Langhe Nebbiolo: anche questo è dell’annata 2022 e le sue uve provengono dalla vigna vicino al bosco, dall’altro lato della collina, dove il terreno tufaceo dà a questo vino freschezza e immediatezza. Oltre a un colore molto vivace e bello da vedere nel bicchiere. Il tannino è ben tenuto, nonostante la vinificazione in acciaio, ed è un vino che rappresenta perfettamente il Nebbiolo: al naso è erbaceo, sa di viola e di frutta rossa matura, che in bocca lascia spazio alle spezie, come il pepe bianco. Assaggiamo anche la versione in legno, un esperimento che ci convince meno perché forse legno si sente troppo: Beatrice concorda e sentenzia “Non è ancora pronto, deve stare in bottiglia ancora un po’”. Noi siamo contente e lusingate che abbia voluto condividere con noi anche quest’anteprima. L’etichetta sarà uguale a quella che già conosciamo, ma i colori saranno più accesi e avrà un nuovo nome.

I vini di Beatrice, insieme alla sua storia e alla degustazione guidata con lei, sono ordinabili qui.

ottavia mapelli talea

Regalo occasioni ai sogni che non sai di avere

Ottavia Mapelli è una Travel Designer, amante delle piccole cose e delle grandi storie. Per lavoro regala alle persone occasioni di crescita attraverso i sogni che non sanno di avere. Ottavia è astemia, ma ama il vino come espressione di una terra e delle genti che la abitano. La sua è la seconda storia di Talea

Diciamo spesso che il vino è un ottimo pretesto. Per conoscere persone nuove, per svoltare una giornata, per imparare la storia e gli usi di un territorio, per insaporire il risotto (sì, siamo sincere, anche per questo), per condividere parti della nostra vita e così renderle più leggere, per viaggiare grazie ai profumi e ai sapori che ci intrigano dal bicchiere. La seconda storia di Talea è quella di Ottavia Mapelli, Travel Designer, amante delle piccole cose, del verde e delle grandi storie. Per lavoro regala alle persone occasioni di crescita attraverso i sogni che non sanno di avere. Ama scrivere, ha girato l’Italia in bicicletta, doveva finire negli Stati Uniti, ma poi ha fondato un Tour Operator per viaggi a piedi. È astemia, ha una grande passione per il caffè, ma ama il vino perché anche per lei è un pretesto per conoscere davvero una terra e le genti che la abitano. L’abbiamo incontrata che è appena tornata a vivere in Alta Brianza dopo quasi dieci anni a Firenze: ha lasciato il porto sicuro di quella che era la sua casa e il suo posto fisso e ha appena iniziato la sua avventura come freelance insieme al suo cane, un levriero di nome Finn, come l’avventuriero di Mark Twain.

Ottavia, se dovessi raccontare il tuo viaggio, quale sarebbe il punto di partenza?

Non sono una persona che viaggia da tutta la vita. Da bambina facevo piccoli viaggi insieme ai miei genitori – Toscana, Liguria, Piemonte – ma sono molto grata perchè hanno sempre cercato di stimolare la mia curiosità ed educarmi al bello in ogni sua espressione. Da allora, viaggiare è per me una rivelazione. In quello che considero il mio primo viaggio da adulta, un lungo giro in bici attraverso l’Italia da Milano a Santa Maria di Leuca, mi sono ritrovata. Quello che mi si è rivelato è un Paese molto meno grigio di come me lo immaginavo. Viaggiare mi aiuta a non sentirmi sola e che anzi viviamo un po’ tutti la stessa vita, sogniamo e vogliamo le stesse cose, anche se abitiamo in posti diversi. Sentire il Catalano e pensare al tuo dialetto, scoprire che i briganti che popolavano i tuoi boschi altrove si chiamano in un altro modo, ma compivano le stesse gesta; vedere al collo di una guida giordana la stessa collana che da sempre indossa mia mamma. Questo è forse quello che amo di più, le piccoli grandi rivelazioni che svelano quanto siamo tutti legati.

Il tuo lavoro è fare la Travel Designer. Ci racconti di cosa si tratta?

Più che a un ruolo, mi piace pensare di essere al centro di un piccolo laboratorio di viaggio. Per le persone che si affidano a me creo viaggi da zero, costruendo un itinerario sulla base dei loro sogni, desideri e aspettative, oppure lavoro su un itinerario che hanno già pronto ma che non li soddisfa, capendo insieme a loro cosa può essere migliorato, a cosa si può “infondere meraviglia” perché arrivi a soddisfarli completamente. Il tutto senza appiattire la complessa, ricchissima identità dei luoghi ospitanti.

Perchè amiamo così tanto viaggiare?

Le persone viaggiano per i motivi più semplici a cui riusciamo a pensare: per divertirsi, staccare, vedere nuovi luoghi, riposarsi. Un viaggio non deve necessariamente essere un’esperienza rivelatoria o trasformativa. Sempre più persone, però, si mettono in viaggio perché desiderano – coscientemente o meno – cambiare qualcosa in sé stessi o nella loro vita, perché si convincono che se ti muovi, qualcosa succede sempre. Viaggiamo per imparare o realizzare altrove qualcosa che non riusciamo a trovare dove abitiamo; per nutrire a fondo una passione, sentirsi utili, provare qualcosa che scuota ed emozioni, inseguire un’inspiegabile nostalgia per luoghi non vissuti. Per sentirsi parte di una comunità, sfidare un proprio limite, cambiare una prospettiva che percepiscono come limitante. Per trovare un luogo più comodo e accogliente, anche solo per qualche giorno. Ricordo una volta un signore di 80 anni che non aveva mai visto l’Italia dopo averla sognata e studiata per tutta la vita perché aveva creato una lista di luoghi ed esperienze, per altre persone. E io ho fatto in modo che le vivesse tutte. Mi ha detto che non si era mai sentito così felice in tutta la sua vita. Per me questa è una consapevolezza potentissima.

Stiamo entrando nell’ultimo mese di primavera, il momento in cui la natura rinasce: hai mai avuto un’esperienza di rinascita?

Direi che, forse come tutti, ho vissuto tante piccole rinascite, alcune più difficili di altre.  L’ultima è sicuramente la scelta di tornare in provincia dopo otto anni trascorsi a Firenze e, contemporaneamente, lasciare in parte il mio lavoro da dipendente per dare vita al mio progetto freelance. Un rientro al nido, la casa a cui avevo giurato non sarei tornata. Sono cambiate tante cose tutte insieme – nuova quotidianità, nuovo lavoro, nuova casa, nuova macchina, nuova terra, nuovo compagno di vita, il mio cane Finn – e come sempre le ho affrontate senza forse gustarmi a fondo la consapevolezza che stesse iniziando un nuovo capitolo della mia vita. Sempre io, eppure tutto era profondamente diverso. Per otto anni ho vissuto in un certo modo, con abitudini e piccoli rituali, come passeggiare lungo l’Arno, quando avevo bisogno di pensare e dove ho trovato il coraggio per farla accadere questa rinascita. La prima mattina della mia nuova vita temevo di provare nostalgia e, invece, di tutte quelle cose così importanti non sentivo più il bisogno. Ne ho subito adottate di nuove, guardandomi intorno per capire come riempire il mio nuovo spazio. In una delle mie citazioni preferite, Hemingway dice: “trapiantarsi è necessario all’essere umano come ad ogni altra cosa che cresce” – ecco, io mi sono sentita trapiantata. Ora mi toccava solo crescere. 

Il segnale che la pianta della vite si sta risvegliando è quello che viene chiamato il pianto: è così anche per noi, secondo te, per rinascere bisogna piangere?

In Toscana, in effetti, si dice “piangere come una vita tagliata” – una delle tante espressioni che ho imparato quando mi sono trasferita a Firenze. Per me, l’atto stesso di piangere ha in effetti rappresentato una bella rinascita, perché piango molto raramente e davanti alle lacrime altrui, generalmente, provo irritazione o disagio. In questo mi ha molto aiutato la terapia. E l’ultima sera prima di lasciare Firenze ho pianto per ore – un pianto disperato e liberatorio, che non sembrava finire mai, in cui ho liberato tutto quello che ancora doveva rimanere in quel bellissimo capitolo ormai finito della mia vita. 

Il vino per te è …

Il vino per me è un bellissimo mistero a cui tento di accedere più che posso. Non posso, infatti, bere vino; ho una condizione che mi impedisce di bere (o assaggiare) più di due sorsi di qualsiasi bevanda alcolica senza stare male. Ho deciso quindi di esplorarlo da qualsiasi altra angolazione possibile. Nel mio lavoro, mi è capitato di sviluppare wine tour, così, dato che non posso berlo, ma volendo cercare di conoscere il prodotto al meglio delle mie capacità, ho iniziato a studiare, esplorare, soprattutto parlare e fare domande a chi il vino lo produce. Quando visito una cantina, mi faccio raccontare la storia, parlo e fotografo le persone, mi faccio spiegare come i fattori ambientali specifici del territorio influenzano le caratteristiche del vino; osservo gli acini e le foglie, chiedo quali sono le etichette preferite e perchè, di che materiali sono le botti, come questo andrà ad impattare le note aromatiche. Guardo la grafica delle etichette. E naturalmente mi affido a chi ne sa ben più di me, trovo produttori e sommelier di fiducia a cui chiedere. Mi piace l’idea di aver creato con il vino un rapporto che va oltre il mio non poterlo, in effetti, consumare. E quando proponi una cantina, la racconti e inserisci nella struttura del tour in tutta la sua complessa identità umana e terrestre; c’entra il gusto, certo, ma anche il design, le persone, l’idea, la terra, il territorio. 

Su Instagram ogni mese proponi un amuleto di viaggio, piccoli mantra per il mese a venire o una sorta di piccolo oroscopo del viaggiatore o della viaggiatrice: ce ne lasci uno, per noi e per chi sta leggendo la nostra chiacchierata?

Gli amuleti di viaggio hanno la forma di immagini che mi ispirano e che mi fanno pensare al mese in arrivo. Li pubblico insieme ad alcune frasi, consigli poetici, indicazioni oracolari, piccoli mantra per il mese a venire. Realizzarli è un esercizio che mi diverte e stimola la parte più intuitiva, rituale e astratta di me stessa, la stessa a cui attingo quando leggo i tarocchi. Se dovessi trovarne uno per voi, donne di Vite, mi viene da pensare che la talea è una parte di pianta che sa rimettere radici, trasformandosi in qualcos’altro – una parte che diventa di nuovo un tutto. In musica, si parla di Talea quando lo stesso schema ritmico è ripetuto per tutta la composizione; succedeva nelle composizioni sacre, ma anche nell’ipnotica, gioiosa musica indiana: una sorta di mantra in musica. Mi sembra, quindi, che la chiave qui sia nell’invincibile capacità di riprodursi, nel ripetersi eppure creare qualcosa di nuovo. È un esercizio di perseveranza e coraggio – si cresce e ci si propaga creando nuovi modi per esprimersi, abbandonando parti forse ferite, forse pesanti. Arricchendo nuovi suoli. Vi auguro un futuro che sia una continua talea: trapiantarsi, sbocciare, sempre fedeli alla parte di noi stesse che ci nutre nel profondo. 

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In arte vino – degustazione e art lab

Sabato 13 aprile 2024 in Oltrepò Pavese in collaborazione con Le Fiole

Immagina di conoscere un vino dalla terra dove è nato, passeggiare sentendo sul viso lo stesso sole che ha colorato le sue uve, tra i capelli lo stesso vento che ha accarezzato la pianta. E poi prendere tutti questi elementi e usarli per realizzare un’etichetta personalizzata che renderà questi momenti indimenticabili ogni volta che guarderai la bottiglia. Così nasce In arte vino, una degustazione e laboratorio artistico, realizzato in collaborazione con le nostre artigiane dell’uva Elisa e Silvia Piaggi di Le Fiole e con Luca Prada, writer e visual artist (in arte meik).

In arte vino: cosa, dove e quando

Sabato 13 aprile dalle 10:30 presso Le Fiole Vini a Montalto Pavese (PV). La nostra mattina insieme inizia tra i vigneti, per conoscere il terroir da cui provengono i vini che degusteremo insieme. Sulla bellissima terrazza con una vista stupenda sui vigneti, seguendo le indicazioni dell’artista Luca Prada, decoreremo le etichette delle nostre bottiglie utilizzando solo elementi naturali, dal legno della vite al vino stesso. Infine, concluderemo la mattinata in bellezza con una degustazione di due vini abbinata ai prodotti del territorio.

L’evento ha una durata di circa tre ore e un costo di 35€, comprensivi di

  • passeggiata in vigna
  • laboratorio artistico con decorazione dell’etichetta
  • degustazione di due vini con prodotti del territorio
  • bottiglia a tua scelta che decoreremo insieme

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La sorellanza ci salverà: abbiamo parlato con Isabelle Perraud, la vignaiola francese che ha dato il là al #MeToo nel mondo del vino (anche italiano)

La prima storia di Talea è quella di Isabelle Perraud, fondatrice dell’Associazione Paye Ton Pinard

Questo articolo, come tante altre cose di questi tempi, nasce da una storia su Instagram. E da un articolo uscito su Repubblica che riporta i dati delle aziende vinicole che in Italia sono guidate da donne: spoiler, soltanto il 12,5% ha un Amministratrice Delegata. Mi ha fatto pensare che la storia delle donne nel mondo (e in generale) sia una specie di montagna di Sisifo: ogni mattina una donna si sveglia e sa che dovrà trasportare la sua personale roccia fino in cima, per poi ricominciare da capo l’indomani. Perché non è vero che il mondo del vino è un mondo di uomini, lo sono solo le posizioni di potere al suo interno. Le donne, infatti, in vigna e in cantina ci sono sempre state, lo si vede dai reperti conservati nel Museo del Vino di Torgiano e lo si trova anche nelle storie delle nostre artigiane dell’uva, abituate sin da bambine a fare la loro parte durante la vendemmia come un qualsiasi altro membro della famiglia.

Come ci siamo arrivate? Dapprima furono la rivoluzione industriale e l’introduzione del lavoro salariato a rompere la continuità tra la casa e il lavoro, distinguendo i ruoli all’interno della famiglia come li conosciamo oggi: le donne a casa e gli uomini fuori, nell’industria, vinicola compresa, senza che però le donne abbiano mai smesso di occuparsi delle vigne e della cantina. E poi la questione del potere, trasversale a tutti gli ambiti delle nostre vite (hai detto forse, cultura patriarcale?), a cui abbiamo accennato prima: il mondo del vino ci sembra a predominanza maschile, perché gli uomini ne occupano ancora per la maggior parte l’immagine pubblica. Per questo, quando la FIVI ha aggiunto nel nome del suo storico Mercato anche “delle Vignaiole” e non più solo “dei Vignaioli” indipendenti, abbiamo esultato tutte (e anche una parte di tutti, ne sono convinta). Del valore della rappresentanza, della sorellanza e dell’importanza di dare voce alle donne di questo settore, laddove sono ancora poco visibili, abbiamo parlato con Isabelle Perraud, vignaiola francese e fondatrice dell’Associazione “Paye Ton Pinard”, impegnata a dare voce alle donne che subiscono molestie in cantina mentre tutti si girano dall’altra parte.

Isabelle Perraud, ti definisci “vignaiola naturale e femminista”: come e quando nasce Paye Ton Pinard?

Paye Ton Pinard nasce come account Instagram nel settembre 2020. Sin dalla sua nascita volevo dare alle donne del mondo del vino uno spazio di parola, aperto, responsabile, accogliente, consapevole, sulle questioni del sessismo e della violenza sessuale di cui potevano fare esperienza nel loro lavoro. E rompere l’isolamento su queste questioni. L’associazione è stata fondata nel mese di agosto 2023, per essere un vero collettivo dove ogni donna può impegnarsi in prima persona se lo desidera.

“Più forti insieme” si legge nella caption di questo post Instagram di Paye Ton Pinard

Il nome Paye Ton Pinard, che letteralmente significa “paga il tuo vinaccio”, fa riferimento al blog dell’attivista Francese Anaïs Bourdet “Paye Ta Shnek”, che dal 2012 per più di dieci anni, ha condiviso più di quindicimila storie di donne vittime di molestie di strada. Ed è quello che hanno fatto Isabelle e le altre persone che lavorano attivamente nell’associazione: “Siamo dodici e due tra noi sono uomini” mi dice orgogliosamente Perraud che quest’anno, per la sua attività, si è trovata al centro di una bufera mediatica, denuncia di diffamazione compresa, conseguente alle testimonianze da lei raccolte e che riguardavano un produttore di vino francese. Oltre alla condivisione delle storie, Paye Ton Pinard è a disposizione per dare consulenza legale laddove necessario e fare educazione sensibilizzando donne e uomini partecipanti ai vari eventi del mondo del vino. “Abbiamo creato gruppi di lavoro per scrivere una carta che intendiamo far firmare ai professionisti e alle professioniste del vino che si impegnano contro le molestie e in favore della parità tra i generi. Un altro progetto importante riguarda il sito web: vorremmo che fosse un luogo dove ogni donna che ha bisogno possa trovare tutte le informazioni“. Non sono solo le vignaiole francesi a essersi rivolte all’associazione di Perraud e ad aver aggiunto le proprie voci a questo #Metoo del mondo del vino. Anche l’agronoma e vignaiola italiana Lisa Saverino ha affidato la sua testimonianza all’associazione attraverso un post Instagram dove racconta delle molestie subite nelle cantine dove ha lavorato tra la Sicilia, la Toscana e Parigi e dove dice “Italia e Francia, la stessa lotta”. Nel nostro Paese, però, non ci sono dati che raccontano gli episodi di sessismo quotidiano che costellano la montagna di Sisifo delle donne del vino italiane (come quella della sommelier che nell’estate 2022 si vide imporre la gonna come divisa di lavoro per ragioni estetiche). Un passo in avanti in questo potrebbe essere il progetto #TUNONSEISOLA dell’Associazione Nazionale “Le Donne del Vino” ideato per promuovere iniziative di formazione, informazione e sensibilizzazione sulla violenza di genere, presentato a fine gennaio 2023, dopo il femminicidio della donna del vino Marisa Leo.

Che cos’hanno in comune le storie che vi arrivano, da Instagram o da altri luoghi?

Ci sono molte violenze di genere e aggressioni sessuali. Prima di tutto, le donne che le condividono con noi hanno bisogno di sentirsi dire che stiamo ascoltando, anche più tardi se non hanno la forza di parlarne subito. È importante che si sentano in una relazione di fiducia. È importante dire loro che crediamo a quello che raccontano. E soprattutto non essere mai giudicanti. Poi, forse, il fatto di aver parlato, di aver messo in luce una situazione traumatica, la farà avanzare nel suo processo di ricostruzione. Forse presenterà denuncia. Forse no. Dobbiamo accettare la sua decisione. E accompagnarla al meglio.

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Il logo dell’Assocazione Paye Ton Pinard (illustrazione di @totorlillustree)

Nei tuoi discorsi citi spesso la parola sororitè, sorellanza, perché?

La sorellanza è importante perché si possa andare avanti. Ci hanno fatto credere fin troppo che non possiamo contare le une sulle altre.

Una frase come “non c’è nemica peggiore per una donna di un’altra donna”, ci fa sentire ancora più sole…

Sono convinta che solo una donna può capire un’altra donna su questi argomenti. Bisogna potersi sentire sicure. Paye Ton Pinard è uno spazio di fiducia. Penso che la cosa più importante, per una donna in questa situazione, sia parlarne. Liberare la sua parola, farla valere. Raccontarla anche al suo o alla partner, a un amico, un’amica, a qualcuno di fiducia: è un primo passo per non essere sola.

Illustrazione in copertina di @pauline_dupin_aymard per l’Associazione Paye Ton Pinard.

Talea è il progetto editoriale di Vite Storie di Vino e di Donne dedicato alle storie che vogliamo condividere perché portino frutto. Questa è la prima, puoi leggere le altre qui.
eventi del vino come partecipare

Wine Kit di Sopravvivenza agli eventi del vino

Come partecipare, come degustare, come prepararsi e come comportarsi agli eventi del vino (secondo noi)

Quando siamo state allo scorso Mercato FIVI e, come sempre quando andiamo agli eventi del vino, ne abbiamo raccontato sul nostro profilo Instagram, siamo state sommerse di domande: ma come si fa a partecipare? Come si fa a scegliere quali vini degustare? E soprattutto come arrivare sobrie fino alla fine? Devo dire che l’esperienza conta moltissimo – e se ripenso al nostro primo #viteincantina… aiuto! – ma anche le competenze acquisite al corso di sommelier e ai vari corsi di avvicinamento al vino ci hanno aiutate tanto a capire quanto e come degustare, cosa acquistare e come pianificare il nostro calendario degli eventi soprattutto dal punto di vista del budget. Abbiamo raccolto le domande che ci sono arrivate e qui proviamo a rispondere.

🎫 Come si fa a partecipare agli eventi del vino (Mercato FIVI, Slow Wine Fair, Sbarbatelle e così via)

Se avete avuto la sensazione che ogni weekend ci sia un evento sul vino, vi tranquillizziamo subito: non è una sensazione, è proprio vero. Il settore è in espansione e produttori e produttrici vedono nei banchi d’assaggio e nelle fiere un’occasione per farsi conoscere dal mercato e per rinsaldare relazioni con addetti e addette del settore. Il nostro consiglio è segnare gli eventi del vino sul calendario e mantenerlo man mano aggiornato durante l’anno, così da pianificare la partecipazione, anche dal punto di vista del budget, che dovrà comprendere il possibile acquisto di vini, l’eventuale biglietto d’ingresso e il viaggio di andata e di ritorno.

Lisa, Vera e Agnes a un evento di degustazione in Oltrepò Pavese

🍷 Quanti vini degustare e in quale ordine

Durante il primo livello del corso di sommelier che sto seguendo ci hanno spiegato che è possibile degustare davvero al massimo dodici campioni di vino all’interno della stessa degustazione. Ora sono al terzo e, personalmente, sopra gli otto il mio cervello inizia a confondersi (vorrà dire che devo bere di più nel 2024? Chissà!). Ciascuno si conosce e il nostro consiglio è di dare un’occhiata alla lista delle cantine presenti prima di andare all’evento, così da selezionare già a priori un numero di assaggi che sappiamo di poter gestire. Senza dimenticarci dei colpi di fulmine che in fiera possono sempre accadere: tieniti sempre un po’ di spazio per poter degustare quei vini e quelle bottiglie che hanno su di te un richiamo irresistibile (oltre a un panino alla mortadella o al humus di ceci, se sei vegan, in borsa perché ti assicuriamo che diventa molto utile se vuoi arrivare in sobrietà fino alla fine!).

Degustazione di Nebbiolo da Sara Vezza

Per quanto riguarda l’ordine da seguire, il nostro consiglio è quello di seguire quello di una normale degustazione: partendo dai vini più freschi e leggeri, bianchi giovani e bollicine Charmat, per poi passare ai bianchi più strutturati e bollicine Metodo Classico, rosè, rossi vivaci, rossi più strutturati fino ai rossi più importanti e vini liquorosi alla fine. Questo vale sia per il singolo banco, dove però dovrebbe essere la cantina a rendere disponibile uno o più percorsi per chi si avvicina – non temete però di chiedere di assaggiare un solo vino, se vi ha incuriosito – sia per la vostra intera partecipazione all’evento.

🛍️ Acquisti: quali vini è meglio acquistare agli eventi del vino e come portarli a casa sani e salvi

Una premessa per quanto riguarda gli acquisti: non a tutti gli eventi è possibile acquistare. Ai banchi d’assaggio solitamente non è possibile; invece, alle fiere come il Mercato FIVI, occasione attesa da appassionati e appassionate di vino tutto l’anno e che mette a disposizione divertenti carrelli della spesa per trasportare le bottiglie acquistate, invece è previsto e, anzi appunto, anche favorito da organizzazione e cantine presenti. Il nostro consiglio anche qui è prevedere un budget iniziale – con la voce colpo di fulmine per quella spesa improvvisa dettata dall’amore a prima vista per un vino o una bottiglia -, portare una borsa con scomparti oppure un trolley o una borsa frigo per trasportare i propri acquisti senza rovinarsi la schiena e, se l’evento in estate, senza rischiare che il caldo dell’auto e la luce del sole rischino di rovinare i vini che abbiamo acquistato.

La story che vi ha fatto nascere tutti questi interrogativi

Una volta a casa ricordati di riporre gli acquisti in una cantinetta oppure in un luogo in casa dove la temperatura sia costante e mai troppo elevata e non sia sotto la luce del sole. Il vino è un elemento vivo e delicato ed è giusto prendersene cura (un po’ come faresti con il tuo pesce rosso).