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Come raccontare il tuo vino

#wineKitdiSopravvivenza: abbiamo chiesto a Giulia Ciampolini, sommelier ed esperta di marketing del vino, i suoi 2cent per le cantine che vogliono raccontarsi in modo efficace

Anche nel mondo del vino, come in tutti i mondi attualmente possibili, la comunicazione gioca un ruolo fondamentale. Quando abbiamo intervistato Giulia Ciampolini per Talea ne abbiamo approfittato e le abbiamo chiesto in che modo una cantina oggi può comunicare in modo efficace i suoi vini, differenziandosi dagli altri produttori e produttrici, attrarre nuovi clienti e mantenendo una relazione positiva con quelli già esistenti. Quante cose, vero? Con una strategia di comunicazione ben definita, ogni cantina può raccontare la storia unica del suo vino, coinvolgere il pubblico e costruirsi un’identità riconoscibile e che ispiri fiducia nelle persone. In questo articolo, in collaborazione con lei, esploreremo alcune delle migliori pratiche di comunicazione per le cantine, concentrandoci su come utilizzare lo storytelling, i social media e gli eventi per promuovere efficacemente il vino e chi lo fa.

Comunicare il vino: come e perché?

Oggi uno degli obiettivi di comunicazione delle cantine deve essere quello di raccontare in modo efficace i propri prodotti, puntando su quanto differenzia ciascuna produttrice o produttore dagli altri del proprio territorio. L’Italia, infatti, ha una così alta varietà di realtà vinicole che se da un lato la concorrenza è altissima, dall’altro c’è davvero spazio per tutte e tutti. Il marketing del vino oggi deve partire da uno storytelling che intreccia le storie delle persone alle storie del vino e che comprende social media, eventi enologici, enoturismo, visti come parti di un unico grande organismo. Un po’ come quando da tanti vini base si deve trovare la ricetta perfetta affinché, mixandoli, si raggiunga il vino perfetto, così la cantina che vuole promuovere il proprio vino in modo efficace, deve avere sempre in mente che differenziazione, coerenza e ascolto, sono gli elementi imprescindibili per chi vuole comunicare bene in questo settore.

Consigli pratici per una comunicazione efficace nel settore vinicolo

Abbiamo chiesto a Giulia Ciampolini, sommelier ed esperta di marketing del vino, di condividere alcuni dei suoi punti fermi quando si trova a fare una consulenza di comunicazione a una cantina a una persona che promuove il vino per altri. Ecco la sua lista di quattro consigli pratici per una comunicazione efficace nel settore vinicolo, con qualche commento da parte nostra.

  1. Scegliere con cura gli spazi da abitare. Comunicare il vino richiede cura, impegno costante e dedizione. Spesso chi fa il vino ha tempo e competenza di fare solo quello, che è già molto. Allora, o si ha la possibilità di affidare a una o un professionista la comunicazione della propria cantina, oppure si deve fare una scelta dei media che si sceglie di utilizzare: fate caso a quali sono i canali dove vi piace di più stare, dove si incontrano le persone più interessanti, dove vedete che il vostro pubblico è più attento. E una volta fatta questa selezione, cercate di trascorrere del tempo contribuendo alla conversazione, raccontando la vostra storia.
  2. Scegliere il taglio della comunicazione. Deve esserci continuità e coerenza tra l’esperienza vissuta in cantina e quella vissuta online. L’enoturismo oggi porta a una cantina circa il 10% del fatturato (dati del Sole24Ore sul 2023): è una leva importantissima per le cantine e il modo migliore per sfruttarla è quella di pensare all’esperienza online come un continuum di quello che si è vissuto in cantina e viceversa. Le persone entrano in contatto con noi in entrambi i mondi, e modi, ed è molto importante mantenere la relazione con loro se abbiamo come obiettivo poi la fidelizzazione e la vendita dei nostri vini.
  3. Ok la strategia, ma non dimentichiamo la spontaneità. 
  4. Parla di cose che interessano al pubblico. Basta con “tradizione, qualità e innovazione”. Cerca ciò che rende la tua storia e il tuo vino unico e raccontaci di quello.

Giulia Ciampolini ha una newsletter che si chiama Guida Galattica per Enostappisti dove ogni mese racconta le sue esplorazioni del mondo del vino e propone bottiglie da assaggiare. Nella prossima puntata parlerà anche di Vite (ci si iscrive QUI)

silvia giani emilia pennac vino naturale

Silvia Giani: “I miei vini raccontano la biodiversità dell’Oltrepò Pavese, ma soprattutto la felicità”

Questa è la storia di Silvia Giani, in arte Emilia Pennac, che fa vini naturali in Oltrepò, così come la racconta lei

Fare vini naturali in Oltrepò Pavese, una delle zone più vocate d’Italia, è una vera scommessa. “Ma fare vino per me è, da sempre, insieme stimolo e felicità”, ci dice Silvia Giani, in arte Emilia Pennac, mentre ci fa assaggiare i suoi pet nat, vini frizzanti rifermentati naturalmente in bottiglia ottenuti dalle uve autoctone del suo territorio. “La mia storia e la storia della mia azienda sono intrecciate, come i tralci delle mie viti sui filari”, dice. Era infatti il 1972 quando suo padre piantò il primo vigneto in mezzo ettaro di terra, perché voleva fare il vino per sé e per gli amici. “Così la mia infanzia ha avuto il profumo dei fiori dell’uva e il sapore del mosto e questo periodo felice mi ha segnata così tanto che dodici anni fa ho deciso: avrei fatto anche io, di questo, il mio mestiere“.

Prendi un sorso e senti la natura: perché fare vini naturali in Oltrepò

“La mia vigna non è molto grande, ma ciò che amo di lei è che non è un corpo unico, ma sedici appezzamenti in due comuni diversi”. Una particolarità, questa, che fa sì che l’uva crescendo su terreni differenti, le permette di scegliere negli anni il terreno giusto per il vitigno giusto. Ogni vigneto di Emilia Pennac Wines ha così la sua storia, la sua gestione e la sua cura, e ognuno di loro insegna e dà vini profondamente diversi tra loro.

La cosa più importante per Silvia è da sempre il mantenimento della biodiversità, che per lei è sinonimo dell’equilibrio generato dalla coesistenza di specie animali e vegetali. Per questo, sin da subito riduce al minimo ogni tipo di intervento, preferendo laddove possibile strategie e prodotti che stimolano la auto difesa della pianta, nel totale rispetto dell’agricoltura biologica. “La vigna è un modo di essere, il mio modo di essere. È fatica, sudore, passione, impegno, bellezza. Per me fare il vino è insieme stimolo e felicità, perché assecondo la natura e imparo. Poi, con cura, porto il sapere dalla vigna al bicchiere”.

silvia giani emilia pennac vino naturale

Fare vino vuol dire alzarsi alle cinque del mattino, con quaranta gradi all’ombra d’estate e potare con il ghiaccio d’inverno. È sentire la fatica nel bicchiere, è sacrificio e ostinazione, è pura bellezza guadagnata con le lacrime

Silvia è stata una delle artigiane dell’uva che hanno fatto parte della nostra associazione. Ora non ne fa più parte, perché ha smesso di fare vino e perché anche le cose belle a volte finiscono e bisogna saperle lasciare andare (ma non vediamo l’ora di riaffiancarla nella sua prossima avventura vinicola!). Grazie a lei e a quante che hanno creduto in noi, è nata l’idea di inserire in questa sezione del blog le storie delle donne che lasciano un segno nel mondo del vino e che, per un periodo o per un soffio, hanno lasciato il segno anche nel nostro.

giovanna rosanna caruso minini vini sicilia degustazione storia

Giovanna e Rosanna Caruso: “Ci piace sognare in grande e così facciamo il vino in Sicilia”

Questa è la storia di Giovanna e Rosanna Caruso, raccontata da loro. I loro vini sono freschi e sapidi, come il vento delle colline marsalesi su cui crescono le loro viti e il mare della Sicilia

Giovanna e Rosanna Caruso sono sorelle e insieme sono alla guida della cantina Caruso e Minini. “Portiamo avanti una tradizione di quattro generazioni. Lo facciamo con energia, con passione, nel rispetto della terra e con un occhio sempre puntato verso il futuro“. L’obiettivo che le muove, ci raccontano, è quello di coltivare e far fiorire l’eredità che ci è stata lasciata dal nonno Nino, viticoltore da generazioni che vendeva le sue uve ai produttori della zona di Marsala e sognava di avere un giorno una cantina tutta sua. “Poi, negli anni ‘90, nostro padre Stefano ha realizzato il suo sogno e ha fondato la nostra cantina. “A noi Caruso piace sognare in grande” dicono per raccontare di come nasce la collaborazione con Mario Minini, un produttore di vino di bresciano che accettò la scommessa di creare un ponte tra la Sicilia e il Nord Italia. “Una scommessa vincente che oggi abbiamo preso in mano con gioia“.

giovanna rosanna caruso minini vini sicilia degustazione storia

Tradizione e competenza, con uno sguardo al futuro

“Coltiviamo le nostre terre con amore e rispetto“. Giummarella e Cuttaia, questo il nome delle vigne di proprietà di Caruso e Minini, dislocate su un gruppo di colline a est di Marsala, non troppo lontano dal mare. Ogni porzione di terreno è stata scelta dai nonni, per creare la migliore combinazione possibile tra la vite, il clima e la terra. La cantina si trova in un antico baglio, edificato nel 1904 nel cuore della tradizionale area degli stabilimenti vinicoli di Marsala. Qui i grappoli vengono trasportati e subito trasformati. “Li lavoriamo con lo scopo di trasferire la nostra tradizione in bottiglia con meticolosità e sapienza, dando ai vini centenari della nostra zona un’espressione moderna e al passo con i tempi”. Che poi è la loro ed è questo a renderle delle vere artigiane dell’uva. Inoltre, questaparticolare posizione delle vigne, situate sulle colline marsalesi, poco lontano dal mare, dona ai loro vini leggerezza e sapidità.

“Amiamo coltivare uve di vitigni autoctoni delle nostre terre. Abbiamo scelto il Perricone perché è uno dei vitigni a bacca rossa più antichi della Sicilia, anche se oggi ne restano pochi ettari in tutta l’isola”. Soppiantato dal più commerciale Nero d’Avola, infatti, è un pezzo di tradizione che le due sorelle scelgono di valorizzare attraverso questo monovarietale in bottiglia. “Lo Zibibbo ha il colore dorato e il profumo speziato della Sicilia, lo abbiamo scelto perché rappresenta la nostra terra. E, infine, il Grillo vendemmia tardiva, ottenuto da uve che cogliamo a mano dalla pianta: ideale per accompagnare i dolci della tradizione siciliana”.

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Giovanna e Rosanna Caruso sono state due artigiane dell’uva che hanno fatto parte della nostra associazione. Ora non ne fanno più parte, perché anche le cose belle a volte finiscono e bisogna saperle lasciare andare. Grazie a loro e a quante che hanno creduto in noi, è nata l’idea di inserire in questa sezione del blog le storie delle donne che lasciano un segno nel mondo del vino e che, per un periodo o per un soffio, hanno lasciato il segno anche nel nostro.

chiara ciavolich degustazione vino abruzzo storia

Chiara Ciavolich: “Faccio il vino per il solo piacere di farlo”

Questa è la storia di Chiara Ciavolich, raccontata da lei. I suoi vini sono lontani dai luoghi comuni, sono vini in divenire, senza certezze in tasca, che nei contrasti trovano un equilibrio personalissimo

Ho deciso ferocemente di fare solo questo nella mia vita“. Così Chiara Ciavolich, titolare della cantina a cui ha dato il suo cognome, inizia a raccontarci di sè. “Mi sono laureata in Giurisprudenza a Roma nel 2002 e, nelle più rosee aspettative di mia madre, avrei dovuto divenire avvocato. E invece no. Ho scelto di dedicarmi anima e corpo all’azienda agricola e alla cantina, lavorando a testa bassa per trasformarla da realtà produttrice di ottime cisterne di vino sfuso da vendere agli imbottigliatori regionali ed extraregionali, a realtà produttrice di bottiglie di vino con la vocazione dell’autenticità, dell’eleganza e della freschezza del nostro territorio, l’Abruzzo”.

Così, grazie alla storia della sua famiglia, Chiara inizia a fare il vino ispirata da una zia, Zia Giuliana, che gliela racconta sin da quando era in culla. “Grazie alla grandezza d’animo di un padre dalla genialità e spessore irraggiungibili; e all’eleganza e schiettezza di una giovane madre appassionata di arte, letteratura e botanica, oggi faccio il vino provando a trasportare nel futuro il patrimonio agricolo e culturale ereditato da una famiglia antica”.

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Faccio il vino in Abruzzo e ho in mente un’etichetta per “il mio Montepulciano”

La prima cosa che Chiara fa quando prende in mano le redini dell’azienda di famiglia è di creare attorno a sè una squadra con cui condivide la stessa passione e determinazione. “Io sono l’ultima espressione di una famiglia antica in cui il vino ha fatto da filo, decisamente rosso, di congiunzione attraverso i secoli . I Ciavolich erano mercanti di lana che arrivarono nel 1500 a Miglianico e nel 1853 costruirono la prima cantina della famiglia, una delle più antiche strutture di vinificazione in Abruzzo”.

La sua volontà è quella di mantenere intatto un patrimonio agricolo, enoico e storico per tramandarlo alle future generazioni. Come? Il pensiero è di farlo in modo sostenibile per l’ambiente, per le persone che lavorano in azienda e per l’azienda stessa. “La nostra tenuta si trova a Paniella, abbiamo circa quindici ettari, di cui sei a Montepulciano d’Abruzzo e uno a Pecorino piantati a pergola abruzzese. Il resto è una larga distesa di olivi secolari, da cui produciamo ogni anno un olio tutto di territorio”. E il vino?

“Il mio Montepulcianino. Prima o poi lo chiamerò così anche in etichetta”. Per lei, ci confida, è il vino del futuro. Un vino slow, dal tannino morbido e vellutato, molto più spostato sull’eleganza che sulla potenza tipica del Montepulciano. “Un vino per svegliarti da un incubo che sembra non finire mai o, molto meglio, per addormentarti e ritrovarti nella più bella epoca della tua vita”.

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Chiara è stata una delle artigiane dell’uva che hanno fatto parte della nostra associazione. Ora non ne fa più parte, perché anche le cose belle a volte finiscono e bisogna saperle lasciare andare. Grazie a lei e a quante che hanno creduto in noi, è nata l’idea di inserire in questa sezione del blog le storie delle donne che lasciano un segno nel mondo del vino e che, per un periodo o per un soffio, hanno lasciato il segno anche nel nostro.

chiara cane cantina fratelli ferro

Chiara Cane: “Faccio solo vini che mi assomigliano”

Questa è la storia di Chiara Cane, raccontata da lei. Nelle Langhe fa vini che le assomigliano: sono vini di carattere, appassionati e testardi, con una punta di dolcezza

Quando la incontriamo per la prima volta, siamo al telefono. Era ancora durante la pandemia e passerà un anno e mezzo prima di poterla incontrare dal vivo, in un banco d’assaggio sotto il sole caldo delle Langhe. Chiara Cane ci appare da subito corrispondente alla descrizione che ci fa di sè: “Sono una donna di carattere, a tratti impulsiva e passionale, testarda e determinata nel raggiugere gli obiettivi prefissati, ma nello stesso tempo dolce e altruista: un giusto equilibrio necessario nella vita come lo è in un buon vino“. E noi non potremmo essere più d’accordo.

Sono Chiara Cane e sono stata un’artigiana dell’uva

“Il gioco preferito di quando ero piccola era scorrazzare per le “capezzagne” insieme a mia sorella e ci divertivamo un mondo a imitare i nostri nonni che lavoravano la vigna. Crescendo ho intrapreso un altro percorso, mi sono laureata in Servizio Sociale e per un certo periodo il mio desiderio era di intraprendere un percorso lavorativo in questo settore”. Poi, Chiara conosce Andrea, enologo nell’azienda di famiglia, e decide di tornare sui miei passi. “Da allora, giorno dopo giorno, sotto la guida di Andrea e dello zio Pierino, ho potuto scoprire questo mondo magico ed elegante del vino, grazie alla loro passione per questo mestiere che lo trasforma in arte“.

chiara cane cantina fratelli ferro

Un mestiere che diventa arte grazie alla passione

Chiara e Andrea sono i titolari della cantina Fratelli Ferro, trenta ettari dislocati su quattro comuni nelle Langhe: Castiglione Tinella, Neive (CN), Costigliole d’Asti e Calosso (AT). Con il loro lavoro promuovono la valorizzazione del territorio nel rispetto della natura. “Oggi in azienda cerco di essere il più versatile possibile”, racconta Chiara,  “lavoro in vigna, contribuisco alla produzione del vino in cantina, e partecipo a fiere ed eventi. I colori, i riflessi della luce del sole che si nasconde dietro alle colline superbe delle Langhe, i profumi dell’uva che fiorisce, il sapore dolce degli acini maturi, sono parte integrante del mio vivere”.

Un approccio che si riflette anche nei vini di Fratelli Ferro, i tipici langaroli. “I miei preferiti sono i tre che rispecchiano maggiormente il mio carattere: il Nebbiolo, la Barbera d’Asti e il Grignolino. Il Langhe Nebbiolo D.O.C è il vino delle occasioni speciali, di colore rosso rubino con riflessi granati, fruttato e floreale, morbido e vellutato in bocca. La Barbera d’Asti D.O.C.G. è la signora indiscussa della nostra azienda, si presenta con carattere ed eleganza al palato, struttura e complessità, con equilibrio tra morbidezza e acidità. Il Piemonte Grignolino D.O.C. è un vino rosso fresco, delicato al primo impatto e più consistente man mano che scende in bocca, con note fruttate e speziate e la giusta dose di dolcezza e acidità”.

chiara cane cantina fratelli ferro

Chiara è stata la prima artigiana dell’uva langarola ad aver fatto parte della nostra associazione. Ora non ne fa più parte, perché anche le cose belle a volte finiscono e bisogna saperle lasciare andare. Grazie a lei e a quante che hanno creduto in noi, è nata l’idea di inserire in questa sezione del blog le storie delle donne che lasciano un segno nel mondo del vino e che, per un periodo o per un soffio, hanno lasciato il segno anche nel nostro.

i migliori newsletter podcast italiani sul vino per amanti del vino

I migliori podcast e newsletter italiani sul vino da non perdere

Wine essentials per chi ama il vino a tal punto che non vuole solo berlo, ma anche leggerlo e ascoltarlo

A volte capita di voler sapere un po’ di più su quello che abbiamo nel bicchiere e su chi l’ha prodotto (Vite, in fondo, è nato cinque anni fa da questa stessa curiosità). Poi, c’è anche chi va oltre e che quindi pensa che restare aggiornati sulle ultime tendenze e scoperte enologiche sia fondamentale. Sebbene il modo migliore resti quello di assaggiare il più possibile, abbiamo esplorato la vasta gamma di podcast e newsletter dedicati al mondo del vino in lingua italiana, che permettono di esplorare nuove etichette, conoscere storie di produttrici e produttori e scoprire anche eventi davvero interessanti. In questo articolo, trovi la nostra selezione dei migliori podcast e newsletter italiani sul vino.

6 podcast e newsletter italiani imperdibili per le e gli amanti del vino

  1. Donne Vino e Segreti, il podcast dell’Associazine Nazionale Donne del Vino: un podcast per ispirare, emancipare e portare consapevolezza sul ruolo e sulla professionalità delle donne nel mondo dell’industria vitivinicola italiana. A ogni puntata Giulia Blasi e Laura Donadoni dialogano con alcune tra le più note produttrici italiane in uno scambio generazionale che fa bene al cuore (e al settore intero). Si ascolta qui.
  2. Vino sul Divano, il podcast di Jacopo Cossater: un podcast che raccoglie alcune delle più originali e interessanti voci del vino italiane, una chiacchierata durante la quale ascoltare il loro percorso e alcune delle loro storie. Si ascolta qui.
  3. Vino al Vino 50anni dopo, di Paolo De Cristofaro e Antonio Boco di Tipicamente: un podcast che ripercorre i viaggi d’assaggio che Mario Soldati fece nel 1968 per scoprire cosa troviamo oggi nei luoghi esplorati da Soldati, chi li abita, chi li coltiva e che vini produce. Si ascolta qui.
  4. VinoNews 24, dell’omonima redazione: un podcast dove i protagonisti e le protagoniste del vino italiano (tra cui anche l’artigiana dell’uva Francesca Seralvo) commentano in esclusiva eventi, progetti e nuove etichette. Si ascolta qui.
  5. Guida Galattica per Enostappisti, di Giulia Ciampolini: una newsletter che va in esplorazione del mondo del vino e che ogni mese regala bottiglie, consigli, anneddoti e informazioni a chi la riceve. Si legge qui.
  6. La newsletter di Vite: che arriva ogni volta che abbiamo una storia particolarmente bella da raccontarti e un vino particolarmente buono da consigliarti. Si legge qui.
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Va dove ti porta il… vino

Giulia Ciampolini è un’esploratrice del mondo del vino. Ogni mese la sua newsletter, la sua Guida Galattica per Enostappisti, accompagna le persone alla scoperta di qualcosa che prima non sapevano e ci insegna che quando decidiamo di fermarci alla prima impressione, spesso ci perdiamo tutto il divertimento

Ho iniziato a seguire Giulia Ciampolini – 32 anni da una manciata di settimane, sommelier, esperta di comunicazione digitale del vino e crossfit addicted – per il titolo della sua newsletter. L’ispirazione è chiara ed è il romanzo di Douglas Adams “Guida Galattica per Autostoppisti”, una storia che ho amato molto e grazie a cui non viaggio mai senza un asciugamano. Da quando seguo Giulia non viaggio mai anche senza apribottiglie, ma questa è un’altra storia. O forse no. Perché se c’è una cosa che mi ha insegnato quel romanzo è che, per quanto ci si possa sforzare, la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto non solo non può che essere (spoiler) 42, ma soprattutto non capirò mai il perché e va bene così. Nella sua Guida Galattica, invece, Giulia Ciampolini si e ci pone sempre un sacco di domande e ci regala un sacco di buone bottiglie come risposta. A lei, che di calice in calice ci ricorda che quando decidiamo di fermarci alla prima impressione, spesso ci perdiamo tutto il divertimento, abbiamo dedicato la terza puntata di Talea, il progetto editoriale di Vite che raccoglie storie belle per rifiorire.

Oggi il vino è il mio posto sicuro. Dove sento di potermi esprimere liberamente. 

Giulia, perché una newsletter sul vino?

Per gioco! È stato durante la pandemia. C’era ancora Twitter e lì un giorno una ragazza mi chiese di fare un post sui vini da acquistare online, per tutte le persone in zona rossa. Iniziai a pubblicare un vino al giorno su Instagram. Con la fine della pandemia dovetti tornare in ufficio, il mio tempo a disposizione si dimezzò e così smisi di pubblicare. Flashforward a un paio di anni dopo: conosco per caso la piattaforma Substack e penso che sarebbe figo trasformare quel tentativo in una newsletter sul vino che arriva una volta al mese. Volevo essere libera dal lunatico algoritmo che regola le logiche di Instagram e soprattutto esonerata dal dover impazzire per fare reel. C’è qualche esempio sul mio profilo Instagram abbastanza imbarazzante. Così ho iniziato a consigliare bottiglie – secondo me – meritevoli, link con articoli per esplorare il mondo del vino e raccontare le basi della degustazione per chi vuole capirlo meglio, una parola o concetto alla volta alle persone appassionate di vino, che ho chiamato affettuosamente “enostappisti”.

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Chi sono gli enostappisti e le enostappiste?

Onestamente non ne avevo idea fino a qualche settimana fa. Poi ho deciso di creare la Guida Galattica per Enostappisti 3.0, passando da una newsletter a un corso di approccio al vino un po’ atipico: così ho pubblicato un sondaggio, per capire il potenziale interesse di chi mi segue. Posso dirti, in base ai risultati raccolti finora, che tra il pubblico attuale ci sono alcuni sommelier, persone che conoscono il vino, ma anche tante persone che vorrebbero solo saperne di più. Un bel mix! 

Il vino per te è stato amore a prima vista?

Curiosità a prima vista, sicuramente. Poi abbiamo avuto un rapporto caratterizzato da alti e bassi. Ho incontrato il vino per la prima volta mentre scrivevo la tesi di laurea magistrale in Inghilterra. Non sapevo bene quale argomento scegliere, sapevo solo di voler parlare di Made in Italy. Un giorno, per caso, mi imbattei in un articolo del Sole 24 Ore in cui veniva menzionata la crescita del comparto in Italia. Era il 2015: scrissi la tesi sull’utilizzo dei social media da parte di Frescobaldi, Masi e Banfi. Dopo la laurea tornai in Italia, mi iscrissi a un master sul marketing del vino, diventai sommelier e iniziai a lavorare per un imbottigliatore. Oggi lavoro per un’azienda che ha come obiettivo quello di comunicare il vino al meglio e mi occupo di comunicazione digitale e di marketing nel settore enologico. Ma il vino è sempre il mio posto sicuro. Dove sento di potermi esprimere liberamente. 

Il tuo abbinamento cibo+vino preferito?

Pizza e lambrusco, senza ombra di dubbio.

L’abbinamento che invece piace a tutti tranne che a te?

Ostriche e Champagne. Quando mangiavo pesce, le abbinavo con il Muscadet sur lie. Sono una grande fan degli abbinamenti territoriali.

Il vino è un ottimo pretesto per…

Viaggiare, conoscere se stessi, conoscere nuove persone, fare sport tutti i giorni, mettersi in discussione, leggere, studiare, mangiare, insomma, vivere.

giulia ciampolini guida galattica enostappisti newsletter vino

La domanda più strana che hai ricevuto dalla community enostappista?

Negli anni ho scoperto che gli enostappisti e le enostappisti sono persone molto attente e le loro domande di solito sono di approfondimento sugli argomenti trattati nella newsletter o consigli su vini da comprare. Invece, non potrò mai dimenticarmi quello che mi disse una ragazza che conoscevo poco, ma che, venne fuori per caso, era appassionata di vino e leggeva la mia newsletter. È stato durante un momento abbastanza difficile, ero molto stressata per il lavoro e un infortunio che mi aveva tenuto lontano dal box di crossfit per un po’; non dico che volessi smettere di scrivere, ma ero molto affaticata e mi domandavo spesso che senso avesse la mia newsletter. Un giorno, parlando con una ragazza è venuto fuori che non si è mai persa un episodio della Guida, sin dal primo che ho pubblicato. Mi ha scaldato il cuore. Ho pensato che, se esiste un senso al pubblicare questa newsletter, sta tutto lì, nelle persone che ci sono dall’altra parte e che mi leggono.

Un consiglio che daresti alle persone che ti stanno leggendo in questo momento?

Non abbiate paura di fare domande: al sommelier dell’Esselunga, all’enotecario sotto casa, a Google, ma anche a voi stessi e voi stesse: ascoltatevi, fidatevi del vostro gusto personale e diffidate invece dei dogmi. La chiave per un buon abbinamento, la risposta alla domanda fondamentale dell’universo del vino, sta tutta qui.

La prossima puntata della Guida Galattica per Enostappisti sta per uscire, parla anche di Vite e ci si iscrive QUI. Oppure potete seguire Giulia su Instagram, dove la trovate come @ciampovini

bere da sole donne come fare

Tavolo per uno: bere da sole si può e perché è un’esperienza che dovresti provare

Un calice di vino in solitaria è uno dei grandi piaceri della vita, aumenta l’autostima e ci insegna a godere della compagnia di noi stesse. Ma per molte donne bere da sole è ancora un tabù

Perché non riusciamo a bere da sole? Secondo le persone che ci seguono su Instagram, il motivo per cui le donne fanno fatica a godersi un calice di vino in solitaria è perché temono di essere importunate o che stanno compiendo il primo passo verso l’alcolismo. Per la maggior parte delle persone che hanno risposto al nostro sondaggio, poi, bere è un’attività sociale e il vino, in particolare, è associato ai momenti in famiglia, con le amiche o con partner. Facendo qualche ricerca, abbiamo persino scoperto che per alcune persone mangiare e bere da sole è una vera e propria fobia, al pari dei ragni e delle altezze. Ma che dire invece di quelle volte in cui godersi il proprio bicchiere in solitaria, proprio come mangiare, fare sport, andare al cinema o viaggiare da sole, offre un’opportunità di concentrare l’attenzione solo ed esclusivamente su noi stesse, su come stiamo, su come ci stiamo godendo il momento e anche su quello che stiamo bevendo? A questo punto viene da chiedersi se non siamo finite, di nuovo, in quel meccanismo per cui – poiché pensare al benessere delle altre persone e la cura come vocazione biologica sono parte della nostra educazione come donne nella nostra società – ogni volta che ci concediamo di metterci al centro, finiamo per sentirci in colpa così tanto da smettere di desiderare di farlo. Anche lo sguardo dall’esterno ne è intriso e il pregiudizio secondo cui “le donne bevono solo per darsi un tono” è andato in onda al Tg2 soltanto una manciata di mesi fa a rafforzare l’idea che fare cose da sole non è per noi. A meno che non si tratti di crescere figli, curare genitori anziani e lavare i sanitari del bagno, tutti compiti di cui continuiamo a occuparci in esclusiva.

Birra affinata in barrique esauste con tagliere di formaggi che ho ordinato durante il mio viaggio in solitaria ad Amsterdam

Fare cose da sole aumenta l’autostima, ci fa sentire più consapevoli e forti e ci insegna a godere della compagnia di noi stesse

Andare al cinema, uscire a cena, fare un viaggio e sì, perché no, anche bere qualcosa, a casa o fuori da sole ha incredibili vantaggi: aumenta l’autostima, ci fa sentire più consapevoli e forti e ci insegna a godere della compagnia di noi stesse. Lo scopre rapidamente chi ci prova: riappropiarsi di questi spazi e tempi che abbiamo sempre pensato di dover abitare in compagnia è un modo straordinario per prenderci cura di noi stesse. Banalmente perché in quei momenti esistiamo solo noi e, senza dover necessariamente usare un libro o il nostro telefono come barriere nei confronti del mondo esterno, finalmente possiamo dedicarci tutta l’attenzione che di solito tendiamo a dare (prima) alle altre persone. Cenare fuori da sola o versarti un calice di vino, oltre a essere una forma di cura di sé, è anche un modo per trarre il massimo della soddisfazione da un’esperienza: l’ambiente, i sapori, gli odori, le consistenze, i suoni attorno a noi sembrano espandersi.

Non si è mai sentito di un uomo che fa tutte queste storie quando tornato a casa dal lavoro si apre una birretta e si mette sul divano

Senza qualcuno da intrattenere, possiamo sederci con i nostri pensieri, osservare il mondo, degustare quello che abbiamo nel calice o persino – ed è il mio guilty pleasure quando viaggio da sola – ascoltare cosa si dicono le altre persone presenti nella stanza e, da quei brandelli di storie, immaginare le loro vite. E con il senso di colpa come si fa? Anzitutto, lo si riduce a quello che è: un riflesso di una società che ci vorrebbe solo appendici. Non si è mai sentito di un uomo che fa tutte queste storie quando tornato a casa dal lavoro si apre una birretta e si mette sul divano. Se vuoi tanto visitare un posto, ma non c’è nessuno che viene con te, non rinunciare, parti. Se sei in viaggio per lavoro e c’è un ristorante che vorresti provare, prenota. Se quando stai rientrando dal lavoro vedi un’enoteca carina e ti viene voglia di fermarti per un bicchiere di vino prima di tornare a casa, fermati e ordina un bicchiere di vino. Questo non fa di noi delle perditempo. Né delle alcolizzate (a meno che non vi rendiate conto che utilizzate l’alcool per sostituire altro, allora in questo caso, vi consigliamo di chiedere aiuto*). Siete solo donne che hanno voglia di vivere, bere, di mangiare, di viaggiare, di passeggiare. Da sole. Ed è ora che iniziano a normalizzare i nostri desideri.

Uscire da sola a passeggiare è una delle mie attività preferite

5 consigli per provare a bere da sola (senza sensi di colpa)

Iniziare può però non essere facile. Abbiamo stilato una lista di cinque consigli se vuoi provare a bere da sola (ma possono valere anche se vuoi viaggiare, andare al ristorante, passeggiare o guardare un film in solitaria).

  • Prima volta da sola? Procedi un passo alla volta – Se non l’hai mai fatto prima, è più facile se scegli un posto a te familiare o a te vicino. Prima di ordinare un Frozen Magarita in una piscina a Dubai, ci sono stati tanti altri viaggi e bicchieri più vicino a casa. Ecco, iniziare a bere da sola nella comfort zone del tuo soggiorno o di un locale che già frequenti abitualmente, rientra perfettamente nel senso di questo consiglio.
  • Prepara la tua esperienza in anticipo – Su internet si trova tutto. Se vuoi uscire a bere qualcosa mentre sei in vacanza o mentre rientri dal lavoro, puoi cercare online il posto che ti ispira di più. E magari trovare già un’alternativa in fase di pianificazione, renderà più facile da un lato tenere a bada quel mix di ansia ed eccitazione che si prova durante le prime volte e dall’altro gestire la possibilità che il posto potrebbe essere pieno o chiuso.
  • Decidi dove vuoi sederti – Un tavolo appartato può essere la scelta giusta se vuoi concentrarti su quello che stai bevendo. Se invece stare da sola in mezzo alla gente ti intimidisce, puoi chiedere di sederti al bancone: sarà interessante vedere all’opera chi prepara i drink e potrai sempre scambiare qualche parola con lo staff qualora il non essere abituata a trascorrere del tempo da sola ti potrebbe far sentire a disagio.
  • Fai quello che ti senti di fare – E non quello che faresti di solito. Ascoltati e goditi la tua compagnia e se sai che per goderti appieno un bicchiere di vino, per esempio, ordinare un piatto in abbinamento o leggere un libro sono una buona idea, ordina del cibo o tira fuori il libro dalla borsa.
  • Vai via quando hai voglia – Questa è un’esperienza che stai facendo per te. Se senti di volertene andare, chiedi il conto oppure semplicemente svuota il bicchiere nel lavandino e passa ad altro. Se il motivo per cui non bevi da sola a casa è perché non finiresti la bottiglia da sola e non ti va di sprecare il vino al suo interno, dotati di un tappo sottovuoto che funzioni.
Dubai, piscina e un Frozen Margarita

Infine, ti lasciamo anche qualche link utile per provare a fare da sola altre cose come viaggiare, qui il Gruppo Facebook delle donne italiane che viaggiano da sole, oppure camminare, qui sempre il Gruppo Facebook dedicato. Se conosci altri gruppi o community di donne che amano fare cose da sole e che condividono consigli, itinerari o altro, segnalaceli: sarà bello creare una lista di indirizzi utili per riappropiarci tutte insieme di questi nuovi spazi di libertà (individuale e per tutte).

* se senti di aver bisogno di aiuto perché temi di aver sviluppato una dipendenza da alcol, puoi rivolgerti ai servizi per le dipendenze presenti sul tuo territorio. Oppure contattare il numero verde del Ministero della Salute (trovi maggiori dettagli qui).

marchesini winery viteincantina degustazione

Wine Together Happy Together: #viteincantina dalle sorelle Marchesini

Il piacere di portare il vino a tavola. Racconto di un pranzo d’estate sul Lago di Garda insieme a Erika e Giorgia Marchesini

Uno dei motivi per cui non perdiamo l’occasione di andare a trovare le artigiane dell’uva nelle loro cantine è perché l’ospitalità è sempre ottima, il vino sempre buono e c’è sempre qualche delizioso piatto inaspettato. Indimenticabile la torta al formaggio che abbiamo condiviso con Chiara Lungarotti mentre ci faceva assaggiare il suo Rubesco, la robiola d’Alba, freschissima, con il Beami Sempre Rosato da Beatrice Cortese, i salumi di Alice Castellani insieme al suo Timorasso, la crema alle nocciole di Nadia Verrua, per non parlare dei crostini toscani in abbinamento all’Elleboro di Podere Conca, le mandorle speziate che Lefiole ci hanno fatto trovare in abbinamento al loro Pinot Grigio, la torta al cioccolato con i lamponi in abbinamento al Noir Pinot Nero da Tenuta Mazzolino e il parmigiano reggiano degustato insieme al Lambrusco da Venturini Baldini. Questa volta le sorelle Marchesini ci hanno addirittura invitate a pranzo e con loro, neanche a dirlo, abbiamo parlato proprio del piacere di portare il vino a tavola.

Il tavolo di fronte a me, dopo l’antipasto a base di croissant salati in abbinamento al Coralin Chiaretto di Erika e Giorgia Marchesini

Il piacere di portare il vino in tavola: quando fare un vino buono è un affare di famiglia

“Facciamo vini di facile beva, perché così il vino porta gioia tutti i giorni” appena arriviamo Erika Marchesini mette subito le cose in chiaro: “Mio padre dice sempre che il vino può essere perfetto, ma se non ha un gusto che non è buono, hai un vino perfetto che va sprecato. Per questo, i nostri vini non sono fatti per aspettare la grande occasione, ma per rendere ogni occasione grande”. A tavola con Erika si imparano un sacco di cose, non solo sul modo che lei e sua sorella Giorgia hanno deciso che sarebbe stato il loro modo di fare vino, ma anche che il modo in cui si porta il vino a tavola deve rispettare l’anima del vino stesso. “Il Bardolino, per esempio, è un vino che è stato bistrattato per anni. Troppo vicino geograficamente alla Valpolicella, è finito per diventare con il tempo “solo” il vino da tavola, ma in realtà è un grande vino”. Impariamo così che, per esempio, il loro Farfilò va servito fresco per far risultare tutta la sua eleganza. Ce lo serve così anche lei, in abbinamento a un buonissimo riso integrale freddo con pesce, pomodoro e zucchine.

“I nostri vini non sono per aspettare la grande occasione, ma per rendere ogni occasione grande” Erika Marchesini

Siamo fortunate e abbiamo la possibilità di assaggiare tutti i vini prodotti dalle sorelle Marchesini. E con nessuna sorpresa scopriamo che la loro linea di punta si chiama proprio La famiglia a Tavola. Ci sono tutti i grandi classici di questo lato del Garda, quindi non solo Bardolino e Chiaretto, ma anche blend dei vitigni autoctoni Corvinone, Molinara e Rondinella e Chardonnay e Sauvignon per gli internazionali. Menzione d’onore va al loro Pinot Grigio (ahimè è una produzione troppo piccola che viene da una vigna vecchia di più di quarant’anni vendemmiata a mano, perché finisca in uno dei loro cofanetti degustazione, ma se avete l’occasione di passare da Lazise andate a trovarle anche voi nella loro cantina e assaggiatelo!) che noi degustiamo in abbinamento a una galette alla trota salmonata e verdure fresche con maionese alle erbe. A fine pasto, al posto del dessert, chiediamo di assaggiare nuovamente il Coralin Chiaretto, che aveva in realtà aperto il pranzo in abbinamento all’antipasto di croissant salati.

Dieci ettari dislocati in luoghi diversi perché ogni vino ha un’anima diversa

Questa l’eredità che il papà Marcello ha lasciato a Erika e a Giorgia. Oltre a un vigneto, chiamato Dei Santi, dove il nonno coltivava le uve autoctone e produceva vino solo per la famiglia. “A noi piace il fatto di avere i vigneti sparsi in luoghi diversi, perché ci piace avere vini diversi, ma anche andare sul sicuro: con la crisi climatica in atto, la saggezza dei nonni che coltivavano varietà diverse per aumentare la possibilità di avere un raccolto a fine stagione, torna oggi più che mai”, ci spiegano. Il Fasanel, il vento che sale dal lago, tiene asciutte le uve e aiuta contro la peronospora, ma quando diventa troppo forte, rischia di provocare danni seri. Allo stesso modo, non mantengono la coltivazione tradizionale a pergola veronese ovunque, ma sono passate al guyot laddove era più conveniente e in generale vendemmiano prima per avere più acidità e meno alcol e zucchero nel vino. Una combo fondamentale, che costituisce anche un raccordo importante tra la tradizione dei padri (è proprio il caso di dirlo) e il futuro che è in mano alle donne. Soprattutto se l’obiettivo è quello di avere vini che è un piacere portare a tavola.

beatrice cortese vini visita in cantina langhe

Vino ti amo: #viteincantina da Beatrice Cortese Vini

Piccola storia di come un piccolo sogno può diventare realtà grazie a un grande amore, quello di Beatrice Cortese per il vino

Mentre siamo in auto per raggiungere Bricco di Neive, nel cuore del territorio di produzione del Barbaresco, dove Beatrice Cortese ha fondato la sua cantina sotto la casa dove è cresciuta, sto leggendo “Storie di coraggio” di Oscar Farinetti. Il libro ha come sottotitolo “Vino, ti amo!” e mentre ci inerpichiamo sulla cima di questa collina, tra i filari delle viti che quest’anno che piove un giorno sì e uno pure – e infatti anche oggi il tempo non è dei migliori e dunque è perfetto per degustare nebbiolo! – sono di un verde brillante, non posso fare a meno di pensare che dev’essere vero amore anche quello che prova Beatrice per la sua terra e per i suoi vini.

Beatrice Cortese è nata nel 1994 ed è l’ultima arrivata su Vite. Non potevamo iniziare che da lei il viaggio itinerante che tutte le estati ci porta a visitare le cantine delle artigiane dell’uva e che per questo abbiamo felicemente battezzato #viteincantina. La cantina di Beatrice è appena stata rimessa a nuovo. Per farlo, Beatrice ci confida appena scese dell’auto, che ha dovuto sfidare la nonna togliendole dei filari del piccolo orto casalingo: “Qui è ancora tutto come una volta. Tra le vigne si è sempre coltivato altro. Ora, vedi” aggiunge indicando l’altro versante della collina dove, inconfondibili, le foglie di salvia crescono poco al di sotto delle viti “nonna si è già ripresa lo spazio che le abbiamo dovuto togliere per costruire la rampa di accesso alla nuova cantina. Ma l’avevo già convinta perché nella sua vecchia vigna ci ho ripiantato la Barbera, come piace a lei”. Il mondo di Beatrice è tutto racchiuso tra la cima di questa collina, dove c’è la casa di famiglia e gli ettari di Nebbiolo e Barbera, che sono a metà suoi e dello zio, e la collina successiva, inframmezzati tra boschi e noccioleti. “Siamo nel cuore del Barbaresco“, ci racconta, “Qui i terreni dell’uno e dell’altro sono così attaccati che solo noi sappiamo quando finisce il nostro e quello del vicino. Ora si fa prevalentemente Nebbiolo e Barbera, ma un tempo, dato che non siamo neanche troppo lontano dalla zona più vocata per la produzione del Moscato Spumante, si coltivava moscato come unica uva bianca”.

Non sono una persona paziente e ho tante idee, ma ho così tanto da fare che aspettare non è un problema, Beatrice Cortese

Tu cosa coltivi, Beatrice? Le chiediamo, anche se, dato che conosciamo i suoi vini da tempo, già conosciamo la risposta: “Io faccio solo vini rossi, Nebbiolo e Barbera, e un rosato sempre dalle stesse uve, che sono le uve più vocate di questo territorio. Per ora”, aggiunge con un un sorriso furbo facendoci nascere un’enorme curiosità. Continuiamo a farle domande sul futuro mentre scendiamo le scale che portano alla nuovissima stanza di affinamento dove, per ora – è obbligatorio dirlo, Beatrice ha fondato la sua azienda soltanto cinque anni fa, la sua prima vendemmia ufficiale è stata quella del 2022 – riposano due barrique e un’anfora, che Beatrice ha comprato perché dall’anno scorso ci fa affinare la sua barbera Barbea.

Risaliamo le scale e ci dirigiamo verso la grande terrazza che ha una vista mozzafiato sulle sue colline. Peccato che piova anche oggi e così Beatrice ci fa accomodare nella sala di degustazione. Ci offre nocciole tostate e un formaggio fresco locale che ci fa piangere da quanto è buono. Mentre prepara i bicchieri, noi la riempiamo di domande. Perché hai deciso di fare il vino, Beatrice? “Non ho mai immaginato di voler fare altro. La mia famiglia fa il vino da sempre e io sono cresciuta qui. Ma prima di volere una cantina mia, in realtà, pensavo di voler fare altro. Ho studiato per diventare sommelier e ho lavorato in diversi ristoranti stellati prima di tornare nelle Langhe e lavorare alla Banca del Vino di Pollenzo. Poi, poco prima del Covid, mio padre mi ha chiamata e io ho detto: perché no?“.

Come si inizia a fare il vino per mestiere? “Anzitutto, serve studiare. E un buon capitale di partenza, non solo in termini economici, ma soprattutto di terra: per fare un buon vino, serve una buona vigna. Io dalla mia parte avevo mio zio, che ha sempre fatto vino, e il fatto che ci troviamo in un territorio particolarmente vocato come quello delle Langhe. Qui, la vite può crescere tra la biodiversità garantita dai boschi e dai noccioleti, su un terreno che è uno dei migliori al mondo, marna, calcare e argilla, ma anche tufo, sull’altro versante della collina, che danno al nebbiolo personalità diverse: austero ed elegante da un lato, fresco e ammiccante dall’altro. Poi, la mia formazione negli stellati ha aiutato: ho una grande disciplina e una grande determinazione, oltre alla grande consapevolezza che oggi per mandare avanti un’azienda vinicola non è sufficiente avere un buon prodotto e venire da un territorio vocato”. Come si dice in questi casi, anche la Nutella per vendere deve farsi pubblicità. “Esatto, io amo troppo il vino per rischiare di farlo male, per questo sin da subito ho scelto un buon enologo e anche una buona agenzia di comunicazione che mi seguisse nell’elaborazione del marchio Beatrice Cortese Vini, dal logo, al sito, fino ai nomi dei vini e alle loro etichette che ho realizzato a sei mani insieme alla mia grafica Barbara Scerbo e a Senz’H illustratrice di grande talento”. Tutte donne, è? “Oh sì!”.

Qual è la cosa più importante per te nel fare il vino?Fare un vino buono e rispettoso dell’ambiente da cui proviene. Per coltivare le mie uve faccio la lotta integrata, che significa che aiuto soltanto la natura a fare del suo meglio, senza intervenire con agenti chimici o con interventi troppo invasivi. Oggi faccio circa 10mila bottiglie, tra Nebbiolo e Barbera e faccio un vino che piace a me. Nel futuro voglio dare il massimo a questo territorio e per questo ho fatto un bando per fare il Barbaresco: voglio crescere e migliorare sempre di più. E l’anno prossimo uscirà una nuova etichetta, una bollicina, su cui per ora non dico niente, dovrete aspettare anche voi la fine dell’anno!”. Siamo così curiose che riusciamo a farci dire almeno il suo nome, ma le promettiamo che saremo brave e non faremo spoiler. Ma è facile dire di sì, i vini sono finalmente pronti nei calici e noi possiamo iniziare la nostra degustazione. Io prendo appunti che, da quando sono diventata sommelier, è un piacere che non riesco proprio a togliermi (anche se i più puristi tra voi che leggere magari inorridiranno quando aggiungerò che non ho disdegnato nemmeno le nocciole!). Beatrice è anche un’ottima comunicatrice del vino, si vede che ha lavorato per anni in questo settore, e mentre noi assaggiamo parliamo anche di imprenditorialità, di leadership, dei pessimi capi che abbiamo avuto e di quelle – il femminile è d’obbligo ambo le parti – che ci hanno insegnato molto. Abbiamo quasi la stessa età e condividiamo le gioie e le fatiche dei trent’anni, che Beatrice compirà quest’anno. “La cosa più difficile è farsi prendere sul serio, quando sei donna e sei giovane. Ma io ho fiducia nel mio vino, ce la farò”, glielo auguriamo tantissimo e, quando ci salutiamo con la promessa di rivederci presto, magari dalle nostre parti dopo la vendemmia, siamo contente di poter sentire che anche noi stiamo facendo la nostra parte. Per Beatrice, per tutte le artigiane dell’uva e anche per le donne come noi, che continuiamo a mettercela tutta per diventare grandi e realizzare i propri progetti.

Appunti di degustazione: i vini di Beatrice Cortese

Rosato Beami Sempre: 100% nebbiolo, annata 2022, ha un colore rosa tenue che assomiglia a quello dei tramonti sul mare. Si colora infatti nella pressa, perché Beatrice vinifica le uve di Nebbiolo come se dovesse fare un vino bianco. Al naso delicato come i piccoli frutti di bosco, in bocca si sente soprattutto la struttura del Nebbiolo e un interessante accordo di spezie. Sull’etichetta, una ragazza libera nella natura, rappresenta la facile beva di questo vino.

Barbera Barbea: annata 2022, l’ultima per cui Beatrice userà solo acciaio per l’affinamento (dall’annata 2023, sta usando l’anfora). Al naso e al gusto è un vino in cui si sente la ciliegia croccante, di quelle succose che quando stacchi il picciolo con le dita senti in bocca un bel “toc”. In etichetta c’è Venere, solo che al posto del pomo della discordia c’è un grappolo, per ricordare l’amore del vino e l’affinamento in anfora. Si chiama Barbea perché sono le barbatelle che ha piantato Beatrice stessa. Diventa subito la nostra preferita.

Langhe Nebbiolo: anche questo è dell’annata 2022 e le sue uve provengono dalla vigna vicino al bosco, dall’altro lato della collina, dove il terreno tufaceo dà a questo vino freschezza e immediatezza. Oltre a un colore molto vivace e bello da vedere nel bicchiere. Il tannino è ben tenuto, nonostante la vinificazione in acciaio, ed è un vino che rappresenta perfettamente il Nebbiolo: al naso è erbaceo, sa di viola e di frutta rossa matura, che in bocca lascia spazio alle spezie, come il pepe bianco. Assaggiamo anche la versione in legno, un esperimento che ci convince meno perché forse legno si sente troppo: Beatrice concorda e sentenzia “Non è ancora pronto, deve stare in bottiglia ancora un po’”. Noi siamo contente e lusingate che abbia voluto condividere con noi anche quest’anteprima. L’etichetta sarà uguale a quella che già conosciamo, ma i colori saranno più accesi e avrà un nuovo nome.

I vini di Beatrice, insieme alla sua storia e alla degustazione guidata con lei, sono ordinabili qui.