Quali sono gli effetti dei dazi americani sul vino sull’economia italiana e sulla vita delle donne? Un’analisi semplice, ma approfondita, per capire le conseguenze che da luglio potrebbero esserci su prezzi, produzione e consumi
In questo momento, le artigiane dell’uva trattengono il fiato. E, con loro, anche l’economia globale. Dopo aver annunciato un aumento dei dazi sul vino al 20% (ora sono al 10%, ndr), e aver visto la borsa crollare, il governo americano ha fatto un passo indietro e ha rimandato la decisione finale al prossimo luglio, lasciando un intero settore con la domanda: e poi che succederà? Per capire quali sono gli effetti dei dazi americani sul vino sull’economia italiana e sulla vita delle donne, abbiamo coinvolto le economiste e ricercatrici Federica Gentile e Giovanna Badalassi di Ladynomics e le artigiane dell’uva Erika e Giorgia Marchesini – il cui fatturato conta per il 20% sul mercato statunitense – e abbiamo chiesto loro di raccontarci le conseguenze che da luglio potrebbero esserci su prezzi, produzione e consumi, e le preoccupazioni di chi lavora in questo settore.
Cosa sono i dazi sul vino?
I dazi sul vino sono tasse che vengono applicate ai vini importati da altri Paesi. Si tratta, in estrema sintesi, di un contributo economico che chi importa vino deve versare alle autorità del Paese di destinazione. Ma perché esistono? I dazi hanno tre finalità: proteggere le industrie locali, regolare il commercio internazionale e anche per aggiungere entrate fiscali nelle casse governative. L’ammontare di queste tasse doganali può basarsi sul valore del vino, su un’aliquota standard o su una combinazione di entrambe. Ma alla fine, il risultato è sempre lo stesso: il vino importato costa di più una volta arrivato sugli scaffali.
Perché allora tutto questo allarme per l’aumento annunciato da Trump? Perché un aumento di quasi il doppio di queste tasse porterebbe disagi tangibili non solo per i produttori italiani – l’Unione Italia Vini ha stimato un danno di 323 milioni di euro all’anno per i vini italiani e oltre 360 milioni di bottiglie coinvolte – ma anche per le consumatrici e le imprenditrici vinicole su entrambe le sponde dell’Atlantico. I dazi infatti non riguardano soltanto la bottiglia finita, ma anche le componenti che i produttori e le produttrici americane acquistano dalla Cina e dal Messico, prime fra tutte bottiglie, capsule e tappi. Le più penalizzate sarebbero le cantine più piccole e con produzioni artigianali. Perché, come spiega molto bene questo articolo del New York Times, i vini che oggi arrivano sugli scaffali a un prezzo accessibile ne risentiranno più di quelli costosi che già oggi può permettersi solo la fascia più ricca della popolazione.
Perché l’aumento dei dazi americani interessa di più le donne?
All’aumento dei prezzi, calo della varietà di prodotti disponibili e una distribuzione del vino sempre più complessa, si aggiunge anche la grande incertezza generata da questa politica commerciale che, se anche solo annunciata, sta già portando a meno investimenti, a nuove difficoltà per le esportazioni e per le cantine italiane. “L’incertezza legata all’imposizione o sospensione dei dazi riduce gli investimenti e spinge alla crisi economica, colpendo le donne in settori dove il lavoro è già precario“, ci dicono Federica Gentile e Giovanna Badalassi di Ladynomics. Sempre grazie a loro impariamo il concetto di Pink Tariffs, cioè quel “prezzo” che le donne si trovano sempre a pagare in situazioni di crisi economica. Che si tratti infatti di essere le principali responsabili della spesa famigliare o di gestire un’azienda vinicole, le donne si trovano spesso in prima linea ad affrontare gli impatti di un’economia incerta e di nuove tassazioni.
L’incertezza legata all’imposizione o sospensione dei dazi riduce gli investimenti e spinge alla crisi economica, colpendo le donne in settori dove il lavoro è già precario
Sebbene infatti abbiamo visto come l’obiettivo dei dazi sia incentivare la produzione locale e limitare le importazioni, spiega Ladynomics, gli effetti reali raccontano una storia diversa: le donne sono da sempre tra le più colpite nei contesti di crisi economica e si trovano a fronteggiare difficoltà crescenti sia come consumatrici, sia come lavoratrici, soprattutto in un momento storico in cui, se mancano i soldi, colei che rinuncia al proprio lavoro per occuparsi dei figli è sempre la donna, poiché il suo è statisticamente lo stipendio più basso.
A livello macro, l’incertezza associata ai dazi riduce investimenti e causa stagnazione economica, colpendo soprattutto i settori dove le donne sono maggiormente occupate, come la ristorazione, la sanità, il settore tessile. Con una doppia conseguenza: “Secondo l’Overseas Development Institute (ODI), i dazi americani attualmente esistenti sono già adesso più alti su abbigliamento e accessori destinati alle donne rispetto a quelli maschili“, scrive Giovanna Badalassi in questo interessante articolo proprio sull’impatto dei dazi sulle donne. Non solo in occidente, ma in tutto il mondo: “Se le donne acquistano meno prodotti, soprattutto tessili e per l’abbigliamento, vanno in crisi le aziende che li vendono. La World Bank in questo caso è chiara: meno esportazioni, meno occupazione nei Paesi produttori, precarietà in aumento per milioni di donne nel mondo”.

Cosa succederebbe alle produttrici vinicole italiane se l’aumento dei dazi venisse confermato?
Le piccole produttrici di vino soffrono due volte: è difficile farsi riconoscere in un settore dominato dagli uomini e i costi aumentati dai dazi limitano la competitività all’estero. La paura è che possa accadere quel che accadde nel 2019 al mercato francese dopo che la prima amministrazione Trump alzò i dazi sul al 25%. A risponderci è Erika Marchesini, artigiana dell’uva che si occupa insieme alla sorella Giorgia dell’azienda vinicola di famiglia a Lazise, sul Lago di Garda, e il cui fatturato dipende molto dall’export. “A spaventarci è proprio questa guerra dei dazi e quello che può portare. Quando c’è nell’aria un sentore di guerra, si entra in uno stato d’allerta che blocca l’economia. Se poi anche questo aumento non fosse confermato alla fine, ma lo fossero quelli sugli altri settori, le conseguenze finirebbero comunque per ripercuotersi anche su di noi: se le persone hanno difficoltà ad acquistare i beni primari, figuriamoci se comprano del vino!”.

La gestione dei dazi, ora al 10%, richiede collaborazione tra tutte le figure coinvolte nella filiera, ci spiega Erika, quindi sia loro come produttrici, ma anche le aziende importatrici e distributrici. L’obiettivo di questa strategia è quello di contenere i rincari al minimo. “Dividiamo la percentuale per far sì che il danno finale sulla bottiglia sia minimo, forse qualche dollaro, se non meno,” spiega. Tuttavia, l’eventuale aumento al 20% rappresenterebbe uno scenario davvero critico, che rischia di mettere a repentaglio anni di investimenti e di relazioni costruite una per una, passo passo. “Per non buttare all’aria tutto, stiamo garantendo al nostro importatore la presenza sul mercato, visitando i nuovi Stati che abbiamo ripreso come il New Jersey e New York. Siamo anche riuscite ad aprire nuovi canali con vini di fascia alta, che ci danno più ossigeno e forza per andare avanti.” Una strategia ben precisa che mantiene un occhio sempre rivolto al futuro e l’altro a terra, sulle vigne dove è appena iniziata la vendemmia verde. C’è speranza che questi segnali positivi possano portare nuove opportunità per consolidare anni di sacrifici e lavoro. “Già che partono i bancali è un buon segnale,” sottolinea Erika, che mantiene viva, a ogni costo, la volontà di crescere e restare competitive, “A prescindere da quello che succederà a luglio“.