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bere da sole donne come fare

Tavolo per uno: bere da sole si può e perché è un’esperienza che dovresti provare

Un calice di vino in solitaria è uno dei grandi piaceri della vita, aumenta l’autostima e ci insegna a godere della compagnia di noi stesse. Ma per molte donne bere da sole è ancora un tabù

Perché non riusciamo a bere da sole? Secondo le persone che ci seguono su Instagram, il motivo per cui le donne fanno fatica a godersi un calice di vino in solitaria è perché temono di essere importunate o che stanno compiendo il primo passo verso l’alcolismo. Per la maggior parte delle persone che hanno risposto al nostro sondaggio, poi, bere è un’attività sociale e il vino, in particolare, è associato ai momenti in famiglia, con le amiche o con partner. Facendo qualche ricerca, abbiamo persino scoperto che per alcune persone mangiare e bere da sole è una vera e propria fobia, al pari dei ragni e delle altezze. Ma che dire invece di quelle volte in cui godersi il proprio bicchiere in solitaria, proprio come mangiare, fare sport, andare al cinema o viaggiare da sole, offre un’opportunità di concentrare l’attenzione solo ed esclusivamente su noi stesse, su come stiamo, su come ci stiamo godendo il momento e anche su quello che stiamo bevendo? A questo punto viene da chiedersi se non siamo finite, di nuovo, in quel meccanismo per cui – poiché pensare al benessere delle altre persone e la cura come vocazione biologica sono parte della nostra educazione come donne nella nostra società – ogni volta che ci concediamo di metterci al centro, finiamo per sentirci in colpa così tanto da smettere di desiderare di farlo. Anche lo sguardo dall’esterno ne è intriso e il pregiudizio secondo cui “le donne bevono solo per darsi un tono” è andato in onda al Tg2 soltanto una manciata di mesi fa a rafforzare l’idea che fare cose da sole non è per noi. A meno che non si tratti di crescere figli, curare genitori anziani e lavare i sanitari del bagno, tutti compiti di cui continuiamo a occuparci in esclusiva.

Birra affinata in barrique esauste con tagliere di formaggi che ho ordinato durante il mio viaggio in solitaria ad Amsterdam

Fare cose da sole aumenta l’autostima, ci fa sentire più consapevoli e forti e ci insegna a godere della compagnia di noi stesse

Andare al cinema, uscire a cena, fare un viaggio e sì, perché no, anche bere qualcosa, a casa o fuori da sole ha incredibili vantaggi: aumenta l’autostima, ci fa sentire più consapevoli e forti e ci insegna a godere della compagnia di noi stesse. Lo scopre rapidamente chi ci prova: riappropiarsi di questi spazi e tempi che abbiamo sempre pensato di dover abitare in compagnia è un modo straordinario per prenderci cura di noi stesse. Banalmente perché in quei momenti esistiamo solo noi e, senza dover necessariamente usare un libro o il nostro telefono come barriere nei confronti del mondo esterno, finalmente possiamo dedicarci tutta l’attenzione che di solito tendiamo a dare (prima) alle altre persone. Cenare fuori da sola o versarti un calice di vino, oltre a essere una forma di cura di sé, è anche un modo per trarre il massimo della soddisfazione da un’esperienza: l’ambiente, i sapori, gli odori, le consistenze, i suoni attorno a noi sembrano espandersi.

Non si è mai sentito di un uomo che fa tutte queste storie quando tornato a casa dal lavoro si apre una birretta e si mette sul divano

Senza qualcuno da intrattenere, possiamo sederci con i nostri pensieri, osservare il mondo, degustare quello che abbiamo nel calice o persino – ed è il mio guilty pleasure quando viaggio da sola – ascoltare cosa si dicono le altre persone presenti nella stanza e, da quei brandelli di storie, immaginare le loro vite. E con il senso di colpa come si fa? Anzitutto, lo si riduce a quello che è: un riflesso di una società che ci vorrebbe solo appendici. Non si è mai sentito di un uomo che fa tutte queste storie quando tornato a casa dal lavoro si apre una birretta e si mette sul divano. Se vuoi tanto visitare un posto, ma non c’è nessuno che viene con te, non rinunciare, parti. Se sei in viaggio per lavoro e c’è un ristorante che vorresti provare, prenota. Se quando stai rientrando dal lavoro vedi un’enoteca carina e ti viene voglia di fermarti per un bicchiere di vino prima di tornare a casa, fermati e ordina un bicchiere di vino. Questo non fa di noi delle perditempo. Né delle alcolizzate (a meno che non vi rendiate conto che utilizzate l’alcool per sostituire altro, allora in questo caso, vi consigliamo di chiedere aiuto*). Siete solo donne che hanno voglia di vivere, bere, di mangiare, di viaggiare, di passeggiare. Da sole. Ed è ora che iniziano a normalizzare i nostri desideri.

Uscire da sola a passeggiare è una delle mie attività preferite

5 consigli per provare a bere da sola (senza sensi di colpa)

Iniziare può però non essere facile. Abbiamo stilato una lista di cinque consigli se vuoi provare a bere da sola (ma possono valere anche se vuoi viaggiare, andare al ristorante, passeggiare o guardare un film in solitaria).

  • Prima volta da sola? Procedi un passo alla volta – Se non l’hai mai fatto prima, è più facile se scegli un posto a te familiare o a te vicino. Prima di ordinare un Frozen Magarita in una piscina a Dubai, ci sono stati tanti altri viaggi e bicchieri più vicino a casa. Ecco, iniziare a bere da sola nella comfort zone del tuo soggiorno o di un locale che già frequenti abitualmente, rientra perfettamente nel senso di questo consiglio.
  • Prepara la tua esperienza in anticipo – Su internet si trova tutto. Se vuoi uscire a bere qualcosa mentre sei in vacanza o mentre rientri dal lavoro, puoi cercare online il posto che ti ispira di più. E magari trovare già un’alternativa in fase di pianificazione, renderà più facile da un lato tenere a bada quel mix di ansia ed eccitazione che si prova durante le prime volte e dall’altro gestire la possibilità che il posto potrebbe essere pieno o chiuso.
  • Decidi dove vuoi sederti – Un tavolo appartato può essere la scelta giusta se vuoi concentrarti su quello che stai bevendo. Se invece stare da sola in mezzo alla gente ti intimidisce, puoi chiedere di sederti al bancone: sarà interessante vedere all’opera chi prepara i drink e potrai sempre scambiare qualche parola con lo staff qualora il non essere abituata a trascorrere del tempo da sola ti potrebbe far sentire a disagio.
  • Fai quello che ti senti di fare – E non quello che faresti di solito. Ascoltati e goditi la tua compagnia e se sai che per goderti appieno un bicchiere di vino, per esempio, ordinare un piatto in abbinamento o leggere un libro sono una buona idea, ordina del cibo o tira fuori il libro dalla borsa.
  • Vai via quando hai voglia – Questa è un’esperienza che stai facendo per te. Se senti di volertene andare, chiedi il conto oppure semplicemente svuota il bicchiere nel lavandino e passa ad altro. Se il motivo per cui non bevi da sola a casa è perché non finiresti la bottiglia da sola e non ti va di sprecare il vino al suo interno, dotati di un tappo sottovuoto che funzioni.
Dubai, piscina e un Frozen Margarita

Infine, ti lasciamo anche qualche link utile per provare a fare da sola altre cose come viaggiare, qui il Gruppo Facebook delle donne italiane che viaggiano da sole, oppure camminare, qui sempre il Gruppo Facebook dedicato. Se conosci altri gruppi o community di donne che amano fare cose da sole e che condividono consigli, itinerari o altro, segnalaceli: sarà bello creare una lista di indirizzi utili per riappropiarci tutte insieme di questi nuovi spazi di libertà (individuale e per tutte).

* se senti di aver bisogno di aiuto perché temi di aver sviluppato una dipendenza da alcol, puoi rivolgerti ai servizi per le dipendenze presenti sul tuo territorio. Oppure contattare il numero verde del Ministero della Salute (trovi maggiori dettagli qui).

marchesini winery viteincantina degustazione

Wine Together Happy Together: #viteincantina dalle sorelle Marchesini

Il piacere di portare il vino a tavola. Racconto di un pranzo d’estate sul Lago di Garda insieme a Erika e Giorgia Marchesini

Uno dei motivi per cui non perdiamo l’occasione di andare a trovare le artigiane dell’uva nelle loro cantine è perché l’ospitalità è sempre ottima, il vino sempre buono e c’è sempre qualche delizioso piatto inaspettato. Indimenticabile la torta al formaggio che abbiamo condiviso con Chiara Lungarotti mentre ci faceva assaggiare il suo Rubesco, la robiola d’Alba, freschissima, con il Beami Sempre Rosato da Beatrice Cortese, i salumi di Alice Castellani insieme al suo Timorasso, la crema alle nocciole di Nadia Verrua, per non parlare dei crostini toscani in abbinamento all’Elleboro di Podere Conca, le mandorle speziate che Lefiole ci hanno fatto trovare in abbinamento al loro Pinot Grigio, la torta al cioccolato con i lamponi in abbinamento al Noir Pinot Nero da Tenuta Mazzolino e il parmigiano reggiano degustato insieme al Lambrusco da Venturini Baldini. Questa volta le sorelle Marchesini ci hanno addirittura invitate a pranzo e con loro, neanche a dirlo, abbiamo parlato proprio del piacere di portare il vino a tavola.

Il tavolo di fronte a me, dopo l’antipasto a base di croissant salati in abbinamento al Coralin Chiaretto di Erika e Giorgia Marchesini

Il piacere di portare il vino in tavola: quando fare un vino buono è un affare di famiglia

“Facciamo vini di facile beva, perché così il vino porta gioia tutti i giorni” appena arriviamo Erika Marchesini mette subito le cose in chiaro: “Mio padre dice sempre che il vino può essere perfetto, ma se non ha un gusto che non è buono, hai un vino perfetto che va sprecato. Per questo, i nostri vini non sono fatti per aspettare la grande occasione, ma per rendere ogni occasione grande”. A tavola con Erika si imparano un sacco di cose, non solo sul modo che lei e sua sorella Giorgia hanno deciso che sarebbe stato il loro modo di fare vino, ma anche che il modo in cui si porta il vino a tavola deve rispettare l’anima del vino stesso. “Il Bardolino, per esempio, è un vino che è stato bistrattato per anni. Troppo vicino geograficamente alla Valpolicella, è finito per diventare con il tempo “solo” il vino da tavola, ma in realtà è un grande vino”. Impariamo così che, per esempio, il loro Farfilò va servito fresco per far risultare tutta la sua eleganza. Ce lo serve così anche lei, in abbinamento a un buonissimo riso integrale freddo con pesce, pomodoro e zucchine.

“I nostri vini non sono per aspettare la grande occasione, ma per rendere ogni occasione grande” Erika Marchesini

Siamo fortunate e abbiamo la possibilità di assaggiare tutti i vini prodotti dalle sorelle Marchesini. E con nessuna sorpresa scopriamo che la loro linea di punta si chiama proprio La famiglia a Tavola. Ci sono tutti i grandi classici di questo lato del Garda, quindi non solo Bardolino e Chiaretto, ma anche blend dei vitigni autoctoni Corvinone, Molinara e Rondinella e Chardonnay e Sauvignon per gli internazionali. Menzione d’onore va al loro Pinot Grigio (ahimè è una produzione troppo piccola che viene da una vigna vecchia di più di quarant’anni vendemmiata a mano, perché finisca in uno dei loro cofanetti degustazione, ma se avete l’occasione di passare da Lazise andate a trovarle anche voi nella loro cantina e assaggiatelo!) che noi degustiamo in abbinamento a una galette alla trota salmonata e verdure fresche con maionese alle erbe. A fine pasto, al posto del dessert, chiediamo di assaggiare nuovamente il Coralin Chiaretto, che aveva in realtà aperto il pranzo in abbinamento all’antipasto di croissant salati.

Dieci ettari dislocati in luoghi diversi perché ogni vino ha un’anima diversa

Questa l’eredità che il papà Marcello ha lasciato a Erika e a Giorgia. Oltre a un vigneto, chiamato Dei Santi, dove il nonno coltivava le uve autoctone e produceva vino solo per la famiglia. “A noi piace il fatto di avere i vigneti sparsi in luoghi diversi, perché ci piace avere vini diversi, ma anche andare sul sicuro: con la crisi climatica in atto, la saggezza dei nonni che coltivavano varietà diverse per aumentare la possibilità di avere un raccolto a fine stagione, torna oggi più che mai”, ci spiegano. Il Fasanel, il vento che sale dal lago, tiene asciutte le uve e aiuta contro la peronospora, ma quando diventa troppo forte, rischia di provocare danni seri. Allo stesso modo, non mantengono la coltivazione tradizionale a pergola veronese ovunque, ma sono passate al guyot laddove era più conveniente e in generale vendemmiano prima per avere più acidità e meno alcol e zucchero nel vino. Una combo fondamentale, che costituisce anche un raccordo importante tra la tradizione dei padri (è proprio il caso di dirlo) e il futuro che è in mano alle donne. Soprattutto se l’obiettivo è quello di avere vini che è un piacere portare a tavola.

beatrice cortese vini visita in cantina langhe

Vino ti amo: #viteincantina da Beatrice Cortese Vini

Piccola storia di come un piccolo sogno può diventare realtà grazie a un grande amore, quello di Beatrice Cortese per il vino

Mentre siamo in auto per raggiungere Bricco di Neive, nel cuore del territorio di produzione del Barbaresco, dove Beatrice Cortese ha fondato la sua cantina sotto la casa dove è cresciuta, sto leggendo “Storie di coraggio” di Oscar Farinetti. Il libro ha come sottotitolo “Vino, ti amo!” e mentre ci inerpichiamo sulla cima di questa collina, tra i filari delle viti che quest’anno che piove un giorno sì e uno pure – e infatti anche oggi il tempo non è dei migliori e dunque è perfetto per degustare nebbiolo! – sono di un verde brillante, non posso fare a meno di pensare che dev’essere vero amore anche quello che prova Beatrice per la sua terra e per i suoi vini.

Beatrice Cortese è nata nel 1994 ed è l’ultima arrivata su Vite. Non potevamo iniziare che da lei il viaggio itinerante che tutte le estati ci porta a visitare le cantine delle artigiane dell’uva e che per questo abbiamo felicemente battezzato #viteincantina. La cantina di Beatrice è appena stata rimessa a nuovo. Per farlo, Beatrice ci confida appena scese dell’auto, che ha dovuto sfidare la nonna togliendole dei filari del piccolo orto casalingo: “Qui è ancora tutto come una volta. Tra le vigne si è sempre coltivato altro. Ora, vedi” aggiunge indicando l’altro versante della collina dove, inconfondibili, le foglie di salvia crescono poco al di sotto delle viti “nonna si è già ripresa lo spazio che le abbiamo dovuto togliere per costruire la rampa di accesso alla nuova cantina. Ma l’avevo già convinta perché nella sua vecchia vigna ci ho ripiantato la Barbera, come piace a lei”. Il mondo di Beatrice è tutto racchiuso tra la cima di questa collina, dove c’è la casa di famiglia e gli ettari di Nebbiolo e Barbera, che sono a metà suoi e dello zio, e la collina successiva, inframmezzati tra boschi e noccioleti. “Siamo nel cuore del Barbaresco“, ci racconta, “Qui i terreni dell’uno e dell’altro sono così attaccati che solo noi sappiamo quando finisce il nostro e quello del vicino. Ora si fa prevalentemente Nebbiolo e Barbera, ma un tempo, dato che non siamo neanche troppo lontano dalla zona più vocata per la produzione del Moscato Spumante, si coltivava moscato come unica uva bianca”.

Non sono una persona paziente e ho tante idee, ma ho così tanto da fare che aspettare non è un problema, Beatrice Cortese

Tu cosa coltivi, Beatrice? Le chiediamo, anche se, dato che conosciamo i suoi vini da tempo, già conosciamo la risposta: “Io faccio solo vini rossi, Nebbiolo e Barbera, e un rosato sempre dalle stesse uve, che sono le uve più vocate di questo territorio. Per ora”, aggiunge con un un sorriso furbo facendoci nascere un’enorme curiosità. Continuiamo a farle domande sul futuro mentre scendiamo le scale che portano alla nuovissima stanza di affinamento dove, per ora – è obbligatorio dirlo, Beatrice ha fondato la sua azienda soltanto cinque anni fa, la sua prima vendemmia ufficiale è stata quella del 2022 – riposano due barrique e un’anfora, che Beatrice ha comprato perché dall’anno scorso ci fa affinare la sua barbera Barbea.

Risaliamo le scale e ci dirigiamo verso la grande terrazza che ha una vista mozzafiato sulle sue colline. Peccato che piova anche oggi e così Beatrice ci fa accomodare nella sala di degustazione. Ci offre nocciole tostate e un formaggio fresco locale che ci fa piangere da quanto è buono. Mentre prepara i bicchieri, noi la riempiamo di domande. Perché hai deciso di fare il vino, Beatrice? “Non ho mai immaginato di voler fare altro. La mia famiglia fa il vino da sempre e io sono cresciuta qui. Ma prima di volere una cantina mia, in realtà, pensavo di voler fare altro. Ho studiato per diventare sommelier e ho lavorato in diversi ristoranti stellati prima di tornare nelle Langhe e lavorare alla Banca del Vino di Pollenzo. Poi, poco prima del Covid, mio padre mi ha chiamata e io ho detto: perché no?“.

Come si inizia a fare il vino per mestiere? “Anzitutto, serve studiare. E un buon capitale di partenza, non solo in termini economici, ma soprattutto di terra: per fare un buon vino, serve una buona vigna. Io dalla mia parte avevo mio zio, che ha sempre fatto vino, e il fatto che ci troviamo in un territorio particolarmente vocato come quello delle Langhe. Qui, la vite può crescere tra la biodiversità garantita dai boschi e dai noccioleti, su un terreno che è uno dei migliori al mondo, marna, calcare e argilla, ma anche tufo, sull’altro versante della collina, che danno al nebbiolo personalità diverse: austero ed elegante da un lato, fresco e ammiccante dall’altro. Poi, la mia formazione negli stellati ha aiutato: ho una grande disciplina e una grande determinazione, oltre alla grande consapevolezza che oggi per mandare avanti un’azienda vinicola non è sufficiente avere un buon prodotto e venire da un territorio vocato”. Come si dice in questi casi, anche la Nutella per vendere deve farsi pubblicità. “Esatto, io amo troppo il vino per rischiare di farlo male, per questo sin da subito ho scelto un buon enologo e anche una buona agenzia di comunicazione che mi seguisse nell’elaborazione del marchio Beatrice Cortese Vini, dal logo, al sito, fino ai nomi dei vini e alle loro etichette che ho realizzato a sei mani insieme alla mia grafica Barbara Scerbo e a Senz’H illustratrice di grande talento”. Tutte donne, è? “Oh sì!”.

Qual è la cosa più importante per te nel fare il vino?Fare un vino buono e rispettoso dell’ambiente da cui proviene. Per coltivare le mie uve faccio la lotta integrata, che significa che aiuto soltanto la natura a fare del suo meglio, senza intervenire con agenti chimici o con interventi troppo invasivi. Oggi faccio circa 10mila bottiglie, tra Nebbiolo e Barbera e faccio un vino che piace a me. Nel futuro voglio dare il massimo a questo territorio e per questo ho fatto un bando per fare il Barbaresco: voglio crescere e migliorare sempre di più. E l’anno prossimo uscirà una nuova etichetta, una bollicina, su cui per ora non dico niente, dovrete aspettare anche voi la fine dell’anno!”. Siamo così curiose che riusciamo a farci dire almeno il suo nome, ma le promettiamo che saremo brave e non faremo spoiler. Ma è facile dire di sì, i vini sono finalmente pronti nei calici e noi possiamo iniziare la nostra degustazione. Io prendo appunti che, da quando sono diventata sommelier, è un piacere che non riesco proprio a togliermi (anche se i più puristi tra voi che leggere magari inorridiranno quando aggiungerò che non ho disdegnato nemmeno le nocciole!). Beatrice è anche un’ottima comunicatrice del vino, si vede che ha lavorato per anni in questo settore, e mentre noi assaggiamo parliamo anche di imprenditorialità, di leadership, dei pessimi capi che abbiamo avuto e di quelle – il femminile è d’obbligo ambo le parti – che ci hanno insegnato molto. Abbiamo quasi la stessa età e condividiamo le gioie e le fatiche dei trent’anni, che Beatrice compirà quest’anno. “La cosa più difficile è farsi prendere sul serio, quando sei donna e sei giovane. Ma io ho fiducia nel mio vino, ce la farò”, glielo auguriamo tantissimo e, quando ci salutiamo con la promessa di rivederci presto, magari dalle nostre parti dopo la vendemmia, siamo contente di poter sentire che anche noi stiamo facendo la nostra parte. Per Beatrice, per tutte le artigiane dell’uva e anche per le donne come noi, che continuiamo a mettercela tutta per diventare grandi e realizzare i propri progetti.

Appunti di degustazione: i vini di Beatrice Cortese

Rosato Beami Sempre: 100% nebbiolo, annata 2022, ha un colore rosa tenue che assomiglia a quello dei tramonti sul mare. Si colora infatti nella pressa, perché Beatrice vinifica le uve di Nebbiolo come se dovesse fare un vino bianco. Al naso delicato come i piccoli frutti di bosco, in bocca si sente soprattutto la struttura del Nebbiolo e un interessante accordo di spezie. Sull’etichetta, una ragazza libera nella natura, rappresenta la facile beva di questo vino.

Barbera Barbea: annata 2022, l’ultima per cui Beatrice userà solo acciaio per l’affinamento (dall’annata 2023, sta usando l’anfora). Al naso e al gusto è un vino in cui si sente la ciliegia croccante, di quelle succose che quando stacchi il picciolo con le dita senti in bocca un bel “toc”. In etichetta c’è Venere, solo che al posto del pomo della discordia c’è un grappolo, per ricordare l’amore del vino e l’affinamento in anfora. Si chiama Barbea perché sono le barbatelle che ha piantato Beatrice stessa. Diventa subito la nostra preferita.

Langhe Nebbiolo: anche questo è dell’annata 2022 e le sue uve provengono dalla vigna vicino al bosco, dall’altro lato della collina, dove il terreno tufaceo dà a questo vino freschezza e immediatezza. Oltre a un colore molto vivace e bello da vedere nel bicchiere. Il tannino è ben tenuto, nonostante la vinificazione in acciaio, ed è un vino che rappresenta perfettamente il Nebbiolo: al naso è erbaceo, sa di viola e di frutta rossa matura, che in bocca lascia spazio alle spezie, come il pepe bianco. Assaggiamo anche la versione in legno, un esperimento che ci convince meno perché forse legno si sente troppo: Beatrice concorda e sentenzia “Non è ancora pronto, deve stare in bottiglia ancora un po’”. Noi siamo contente e lusingate che abbia voluto condividere con noi anche quest’anteprima. L’etichetta sarà uguale a quella che già conosciamo, ma i colori saranno più accesi e avrà un nuovo nome.

I vini di Beatrice, insieme alla sua storia e alla degustazione guidata con lei, sono ordinabili qui.

ottavia mapelli talea

Regalo occasioni ai sogni che non sai di avere

Ottavia Mapelli è una Travel Designer, amante delle piccole cose e delle grandi storie. Per lavoro regala alle persone occasioni di crescita attraverso i sogni che non sanno di avere. Ottavia è astemia, ma ama il vino come espressione di una terra e delle genti che la abitano. La sua è la seconda storia di Talea

Diciamo spesso che il vino è un ottimo pretesto. Per conoscere persone nuove, per svoltare una giornata, per imparare la storia e gli usi di un territorio, per insaporire il risotto (sì, siamo sincere, anche per questo), per condividere parti della nostra vita e così renderle più leggere, per viaggiare grazie ai profumi e ai sapori che ci intrigano dal bicchiere. La seconda storia di Talea è quella di Ottavia Mapelli, Travel Designer, amante delle piccole cose, del verde e delle grandi storie. Per lavoro regala alle persone occasioni di crescita attraverso i sogni che non sanno di avere. Ama scrivere, ha girato l’Italia in bicicletta, doveva finire negli Stati Uniti, ma poi ha fondato un Tour Operator per viaggi a piedi. È astemia, ha una grande passione per il caffè, ma ama il vino perché anche per lei è un pretesto per conoscere davvero una terra e le genti che la abitano. L’abbiamo incontrata che è appena tornata a vivere in Alta Brianza dopo quasi dieci anni a Firenze: ha lasciato il porto sicuro di quella che era la sua casa e il suo posto fisso e ha appena iniziato la sua avventura come freelance insieme al suo cane, un levriero di nome Finn, come l’avventuriero di Mark Twain.

Ottavia, se dovessi raccontare il tuo viaggio, quale sarebbe il punto di partenza?

Non sono una persona che viaggia da tutta la vita. Da bambina facevo piccoli viaggi insieme ai miei genitori – Toscana, Liguria, Piemonte – ma sono molto grata perchè hanno sempre cercato di stimolare la mia curiosità ed educarmi al bello in ogni sua espressione. Da allora, viaggiare è per me una rivelazione. In quello che considero il mio primo viaggio da adulta, un lungo giro in bici attraverso l’Italia da Milano a Santa Maria di Leuca, mi sono ritrovata. Quello che mi si è rivelato è un Paese molto meno grigio di come me lo immaginavo. Viaggiare mi aiuta a non sentirmi sola e che anzi viviamo un po’ tutti la stessa vita, sogniamo e vogliamo le stesse cose, anche se abitiamo in posti diversi. Sentire il Catalano e pensare al tuo dialetto, scoprire che i briganti che popolavano i tuoi boschi altrove si chiamano in un altro modo, ma compivano le stesse gesta; vedere al collo di una guida giordana la stessa collana che da sempre indossa mia mamma. Questo è forse quello che amo di più, le piccoli grandi rivelazioni che svelano quanto siamo tutti legati.

Il tuo lavoro è fare la Travel Designer. Ci racconti di cosa si tratta?

Più che a un ruolo, mi piace pensare di essere al centro di un piccolo laboratorio di viaggio. Per le persone che si affidano a me creo viaggi da zero, costruendo un itinerario sulla base dei loro sogni, desideri e aspettative, oppure lavoro su un itinerario che hanno già pronto ma che non li soddisfa, capendo insieme a loro cosa può essere migliorato, a cosa si può “infondere meraviglia” perché arrivi a soddisfarli completamente. Il tutto senza appiattire la complessa, ricchissima identità dei luoghi ospitanti.

Perchè amiamo così tanto viaggiare?

Le persone viaggiano per i motivi più semplici a cui riusciamo a pensare: per divertirsi, staccare, vedere nuovi luoghi, riposarsi. Un viaggio non deve necessariamente essere un’esperienza rivelatoria o trasformativa. Sempre più persone, però, si mettono in viaggio perché desiderano – coscientemente o meno – cambiare qualcosa in sé stessi o nella loro vita, perché si convincono che se ti muovi, qualcosa succede sempre. Viaggiamo per imparare o realizzare altrove qualcosa che non riusciamo a trovare dove abitiamo; per nutrire a fondo una passione, sentirsi utili, provare qualcosa che scuota ed emozioni, inseguire un’inspiegabile nostalgia per luoghi non vissuti. Per sentirsi parte di una comunità, sfidare un proprio limite, cambiare una prospettiva che percepiscono come limitante. Per trovare un luogo più comodo e accogliente, anche solo per qualche giorno. Ricordo una volta un signore di 80 anni che non aveva mai visto l’Italia dopo averla sognata e studiata per tutta la vita perché aveva creato una lista di luoghi ed esperienze, per altre persone. E io ho fatto in modo che le vivesse tutte. Mi ha detto che non si era mai sentito così felice in tutta la sua vita. Per me questa è una consapevolezza potentissima.

Stiamo entrando nell’ultimo mese di primavera, il momento in cui la natura rinasce: hai mai avuto un’esperienza di rinascita?

Direi che, forse come tutti, ho vissuto tante piccole rinascite, alcune più difficili di altre.  L’ultima è sicuramente la scelta di tornare in provincia dopo otto anni trascorsi a Firenze e, contemporaneamente, lasciare in parte il mio lavoro da dipendente per dare vita al mio progetto freelance. Un rientro al nido, la casa a cui avevo giurato non sarei tornata. Sono cambiate tante cose tutte insieme – nuova quotidianità, nuovo lavoro, nuova casa, nuova macchina, nuova terra, nuovo compagno di vita, il mio cane Finn – e come sempre le ho affrontate senza forse gustarmi a fondo la consapevolezza che stesse iniziando un nuovo capitolo della mia vita. Sempre io, eppure tutto era profondamente diverso. Per otto anni ho vissuto in un certo modo, con abitudini e piccoli rituali, come passeggiare lungo l’Arno, quando avevo bisogno di pensare e dove ho trovato il coraggio per farla accadere questa rinascita. La prima mattina della mia nuova vita temevo di provare nostalgia e, invece, di tutte quelle cose così importanti non sentivo più il bisogno. Ne ho subito adottate di nuove, guardandomi intorno per capire come riempire il mio nuovo spazio. In una delle mie citazioni preferite, Hemingway dice: “trapiantarsi è necessario all’essere umano come ad ogni altra cosa che cresce” – ecco, io mi sono sentita trapiantata. Ora mi toccava solo crescere. 

Il segnale che la pianta della vite si sta risvegliando è quello che viene chiamato il pianto: è così anche per noi, secondo te, per rinascere bisogna piangere?

In Toscana, in effetti, si dice “piangere come una vita tagliata” – una delle tante espressioni che ho imparato quando mi sono trasferita a Firenze. Per me, l’atto stesso di piangere ha in effetti rappresentato una bella rinascita, perché piango molto raramente e davanti alle lacrime altrui, generalmente, provo irritazione o disagio. In questo mi ha molto aiutato la terapia. E l’ultima sera prima di lasciare Firenze ho pianto per ore – un pianto disperato e liberatorio, che non sembrava finire mai, in cui ho liberato tutto quello che ancora doveva rimanere in quel bellissimo capitolo ormai finito della mia vita. 

Il vino per te è …

Il vino per me è un bellissimo mistero a cui tento di accedere più che posso. Non posso, infatti, bere vino; ho una condizione che mi impedisce di bere (o assaggiare) più di due sorsi di qualsiasi bevanda alcolica senza stare male. Ho deciso quindi di esplorarlo da qualsiasi altra angolazione possibile. Nel mio lavoro, mi è capitato di sviluppare wine tour, così, dato che non posso berlo, ma volendo cercare di conoscere il prodotto al meglio delle mie capacità, ho iniziato a studiare, esplorare, soprattutto parlare e fare domande a chi il vino lo produce. Quando visito una cantina, mi faccio raccontare la storia, parlo e fotografo le persone, mi faccio spiegare come i fattori ambientali specifici del territorio influenzano le caratteristiche del vino; osservo gli acini e le foglie, chiedo quali sono le etichette preferite e perchè, di che materiali sono le botti, come questo andrà ad impattare le note aromatiche. Guardo la grafica delle etichette. E naturalmente mi affido a chi ne sa ben più di me, trovo produttori e sommelier di fiducia a cui chiedere. Mi piace l’idea di aver creato con il vino un rapporto che va oltre il mio non poterlo, in effetti, consumare. E quando proponi una cantina, la racconti e inserisci nella struttura del tour in tutta la sua complessa identità umana e terrestre; c’entra il gusto, certo, ma anche il design, le persone, l’idea, la terra, il territorio. 

Su Instagram ogni mese proponi un amuleto di viaggio, piccoli mantra per il mese a venire o una sorta di piccolo oroscopo del viaggiatore o della viaggiatrice: ce ne lasci uno, per noi e per chi sta leggendo la nostra chiacchierata?

Gli amuleti di viaggio hanno la forma di immagini che mi ispirano e che mi fanno pensare al mese in arrivo. Li pubblico insieme ad alcune frasi, consigli poetici, indicazioni oracolari, piccoli mantra per il mese a venire. Realizzarli è un esercizio che mi diverte e stimola la parte più intuitiva, rituale e astratta di me stessa, la stessa a cui attingo quando leggo i tarocchi. Se dovessi trovarne uno per voi, donne di Vite, mi viene da pensare che la talea è una parte di pianta che sa rimettere radici, trasformandosi in qualcos’altro – una parte che diventa di nuovo un tutto. In musica, si parla di Talea quando lo stesso schema ritmico è ripetuto per tutta la composizione; succedeva nelle composizioni sacre, ma anche nell’ipnotica, gioiosa musica indiana: una sorta di mantra in musica. Mi sembra, quindi, che la chiave qui sia nell’invincibile capacità di riprodursi, nel ripetersi eppure creare qualcosa di nuovo. È un esercizio di perseveranza e coraggio – si cresce e ci si propaga creando nuovi modi per esprimersi, abbandonando parti forse ferite, forse pesanti. Arricchendo nuovi suoli. Vi auguro un futuro che sia una continua talea: trapiantarsi, sbocciare, sempre fedeli alla parte di noi stesse che ci nutre nel profondo. 

in arte vino degustazione laboratorio arte oltrepo

In arte vino – degustazione e art lab

Sabato 13 aprile 2024 in Oltrepò Pavese in collaborazione con Le Fiole

Immagina di conoscere un vino dalla terra dove è nato, passeggiare sentendo sul viso lo stesso sole che ha colorato le sue uve, tra i capelli lo stesso vento che ha accarezzato la pianta. E poi prendere tutti questi elementi e usarli per realizzare un’etichetta personalizzata che renderà questi momenti indimenticabili ogni volta che guarderai la bottiglia. Così nasce In arte vino, una degustazione e laboratorio artistico, realizzato in collaborazione con le nostre artigiane dell’uva Elisa e Silvia Piaggi di Le Fiole e con Luca Prada, writer e visual artist (in arte meik).

In arte vino: cosa, dove e quando

Sabato 13 aprile dalle 10:30 presso Le Fiole Vini a Montalto Pavese (PV). La nostra mattina insieme inizia tra i vigneti, per conoscere il terroir da cui provengono i vini che degusteremo insieme. Sulla bellissima terrazza con una vista stupenda sui vigneti, seguendo le indicazioni dell’artista Luca Prada, decoreremo le etichette delle nostre bottiglie utilizzando solo elementi naturali, dal legno della vite al vino stesso. Infine, concluderemo la mattinata in bellezza con una degustazione di due vini abbinata ai prodotti del territorio.

L’evento ha una durata di circa tre ore e un costo di 35€, comprensivi di

  • passeggiata in vigna
  • laboratorio artistico con decorazione dell’etichetta
  • degustazione di due vini con prodotti del territorio
  • bottiglia a tua scelta che decoreremo insieme

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La sorellanza ci salverà: abbiamo parlato con Isabelle Perraud, la vignaiola francese che ha dato il là al #MeToo nel mondo del vino (anche italiano)

La prima storia di Talea è quella di Isabelle Perraud, fondatrice dell’Associazione Paye Ton Pinard

Questo articolo, come tante altre cose di questi tempi, nasce da una storia su Instagram. E da un articolo uscito su Repubblica che riporta i dati delle aziende vinicole che in Italia sono guidate da donne: spoiler, soltanto il 12,5% ha un Amministratrice Delegata. Mi ha fatto pensare che la storia delle donne nel mondo (e in generale) sia una specie di montagna di Sisifo: ogni mattina una donna si sveglia e sa che dovrà trasportare la sua personale roccia fino in cima, per poi ricominciare da capo l’indomani. Perché non è vero che il mondo del vino è un mondo di uomini, lo sono solo le posizioni di potere al suo interno. Le donne, infatti, in vigna e in cantina ci sono sempre state, lo si vede dai reperti conservati nel Museo del Vino di Torgiano e lo si trova anche nelle storie delle nostre artigiane dell’uva, abituate sin da bambine a fare la loro parte durante la vendemmia come un qualsiasi altro membro della famiglia.

Come ci siamo arrivate? Dapprima furono la rivoluzione industriale e l’introduzione del lavoro salariato a rompere la continuità tra la casa e il lavoro, distinguendo i ruoli all’interno della famiglia come li conosciamo oggi: le donne a casa e gli uomini fuori, nell’industria, vinicola compresa, senza che però le donne abbiano mai smesso di occuparsi delle vigne e della cantina. E poi la questione del potere, trasversale a tutti gli ambiti delle nostre vite (hai detto forse, cultura patriarcale?), a cui abbiamo accennato prima: il mondo del vino ci sembra a predominanza maschile, perché gli uomini ne occupano ancora per la maggior parte l’immagine pubblica. Per questo, quando la FIVI ha aggiunto nel nome del suo storico Mercato anche “delle Vignaiole” e non più solo “dei Vignaioli” indipendenti, abbiamo esultato tutte (e anche una parte di tutti, ne sono convinta). Del valore della rappresentanza, della sorellanza e dell’importanza di dare voce alle donne di questo settore, laddove sono ancora poco visibili, abbiamo parlato con Isabelle Perraud, vignaiola francese e fondatrice dell’Associazione “Paye Ton Pinard”, impegnata a dare voce alle donne che subiscono molestie in cantina mentre tutti si girano dall’altra parte.

Isabelle Perraud, ti definisci “vignaiola naturale e femminista”: come e quando nasce Paye Ton Pinard?

Paye Ton Pinard nasce come account Instagram nel settembre 2020. Sin dalla sua nascita volevo dare alle donne del mondo del vino uno spazio di parola, aperto, responsabile, accogliente, consapevole, sulle questioni del sessismo e della violenza sessuale di cui potevano fare esperienza nel loro lavoro. E rompere l’isolamento su queste questioni. L’associazione è stata fondata nel mese di agosto 2023, per essere un vero collettivo dove ogni donna può impegnarsi in prima persona se lo desidera.

“Più forti insieme” si legge nella caption di questo post Instagram di Paye Ton Pinard

Il nome Paye Ton Pinard, che letteralmente significa “paga il tuo vinaccio”, fa riferimento al blog dell’attivista Francese Anaïs Bourdet “Paye Ta Shnek”, che dal 2012 per più di dieci anni, ha condiviso più di quindicimila storie di donne vittime di molestie di strada. Ed è quello che hanno fatto Isabelle e le altre persone che lavorano attivamente nell’associazione: “Siamo dodici e due tra noi sono uomini” mi dice orgogliosamente Perraud che quest’anno, per la sua attività, si è trovata al centro di una bufera mediatica, denuncia di diffamazione compresa, conseguente alle testimonianze da lei raccolte e che riguardavano un produttore di vino francese. Oltre alla condivisione delle storie, Paye Ton Pinard è a disposizione per dare consulenza legale laddove necessario e fare educazione sensibilizzando donne e uomini partecipanti ai vari eventi del mondo del vino. “Abbiamo creato gruppi di lavoro per scrivere una carta che intendiamo far firmare ai professionisti e alle professioniste del vino che si impegnano contro le molestie e in favore della parità tra i generi. Un altro progetto importante riguarda il sito web: vorremmo che fosse un luogo dove ogni donna che ha bisogno possa trovare tutte le informazioni“. Non sono solo le vignaiole francesi a essersi rivolte all’associazione di Perraud e ad aver aggiunto le proprie voci a questo #Metoo del mondo del vino. Anche l’agronoma e vignaiola italiana Lisa Saverino ha affidato la sua testimonianza all’associazione attraverso un post Instagram dove racconta delle molestie subite nelle cantine dove ha lavorato tra la Sicilia, la Toscana e Parigi e dove dice “Italia e Francia, la stessa lotta”. Nel nostro Paese, però, non ci sono dati che raccontano gli episodi di sessismo quotidiano che costellano la montagna di Sisifo delle donne del vino italiane (come quella della sommelier che nell’estate 2022 si vide imporre la gonna come divisa di lavoro per ragioni estetiche). Un passo in avanti in questo potrebbe essere il progetto #TUNONSEISOLA dell’Associazione Nazionale “Le Donne del Vino” ideato per promuovere iniziative di formazione, informazione e sensibilizzazione sulla violenza di genere, presentato a fine gennaio 2023, dopo il femminicidio della donna del vino Marisa Leo.

Che cos’hanno in comune le storie che vi arrivano, da Instagram o da altri luoghi?

Ci sono molte violenze di genere e aggressioni sessuali. Prima di tutto, le donne che le condividono con noi hanno bisogno di sentirsi dire che stiamo ascoltando, anche più tardi se non hanno la forza di parlarne subito. È importante che si sentano in una relazione di fiducia. È importante dire loro che crediamo a quello che raccontano. E soprattutto non essere mai giudicanti. Poi, forse, il fatto di aver parlato, di aver messo in luce una situazione traumatica, la farà avanzare nel suo processo di ricostruzione. Forse presenterà denuncia. Forse no. Dobbiamo accettare la sua decisione. E accompagnarla al meglio.

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Il logo dell’Assocazione Paye Ton Pinard (illustrazione di @totorlillustree)

Nei tuoi discorsi citi spesso la parola sororitè, sorellanza, perché?

La sorellanza è importante perché si possa andare avanti. Ci hanno fatto credere fin troppo che non possiamo contare le une sulle altre.

Una frase come “non c’è nemica peggiore per una donna di un’altra donna”, ci fa sentire ancora più sole…

Sono convinta che solo una donna può capire un’altra donna su questi argomenti. Bisogna potersi sentire sicure. Paye Ton Pinard è uno spazio di fiducia. Penso che la cosa più importante, per una donna in questa situazione, sia parlarne. Liberare la sua parola, farla valere. Raccontarla anche al suo o alla partner, a un amico, un’amica, a qualcuno di fiducia: è un primo passo per non essere sola.

Illustrazione in copertina di @pauline_dupin_aymard per l’Associazione Paye Ton Pinard.

Talea è il progetto editoriale di Vite Storie di Vino e di Donne dedicato alle storie che vogliamo condividere perché portino frutto. Questa è la prima, puoi leggere le altre qui.
eventi del vino come partecipare

Wine Kit di Sopravvivenza agli eventi del vino

Come partecipare, come degustare, come prepararsi e come comportarsi agli eventi del vino (secondo noi)

Quando siamo state allo scorso Mercato FIVI e, come sempre quando andiamo agli eventi del vino, ne abbiamo raccontato sul nostro profilo Instagram, siamo state sommerse di domande: ma come si fa a partecipare? Come si fa a scegliere quali vini degustare? E soprattutto come arrivare sobrie fino alla fine? Devo dire che l’esperienza conta moltissimo – e se ripenso al nostro primo #viteincantina… aiuto! – ma anche le competenze acquisite al corso di sommelier e ai vari corsi di avvicinamento al vino ci hanno aiutate tanto a capire quanto e come degustare, cosa acquistare e come pianificare il nostro calendario degli eventi soprattutto dal punto di vista del budget. Abbiamo raccolto le domande che ci sono arrivate e qui proviamo a rispondere.

🎫 Come si fa a partecipare agli eventi del vino (Mercato FIVI, Slow Wine Fair, Sbarbatelle e così via)

Se avete avuto la sensazione che ogni weekend ci sia un evento sul vino, vi tranquillizziamo subito: non è una sensazione, è proprio vero. Il settore è in espansione e produttori e produttrici vedono nei banchi d’assaggio e nelle fiere un’occasione per farsi conoscere dal mercato e per rinsaldare relazioni con addetti e addette del settore. Il nostro consiglio è segnare gli eventi del vino sul calendario e mantenerlo man mano aggiornato durante l’anno, così da pianificare la partecipazione, anche dal punto di vista del budget, che dovrà comprendere il possibile acquisto di vini, l’eventuale biglietto d’ingresso e il viaggio di andata e di ritorno.

Lisa, Vera e Agnes a un evento di degustazione in Oltrepò Pavese

🍷 Quanti vini degustare e in quale ordine

Durante il primo livello del corso di sommelier che sto seguendo ci hanno spiegato che è possibile degustare davvero al massimo dodici campioni di vino all’interno della stessa degustazione. Ora sono al terzo e, personalmente, sopra gli otto il mio cervello inizia a confondersi (vorrà dire che devo bere di più nel 2024? Chissà!). Ciascuno si conosce e il nostro consiglio è di dare un’occhiata alla lista delle cantine presenti prima di andare all’evento, così da selezionare già a priori un numero di assaggi che sappiamo di poter gestire. Senza dimenticarci dei colpi di fulmine che in fiera possono sempre accadere: tieniti sempre un po’ di spazio per poter degustare quei vini e quelle bottiglie che hanno su di te un richiamo irresistibile (oltre a un panino alla mortadella o al humus di ceci, se sei vegan, in borsa perché ti assicuriamo che diventa molto utile se vuoi arrivare in sobrietà fino alla fine!).

Degustazione di Nebbiolo da Sara Vezza

Per quanto riguarda l’ordine da seguire, il nostro consiglio è quello di seguire quello di una normale degustazione: partendo dai vini più freschi e leggeri, bianchi giovani e bollicine Charmat, per poi passare ai bianchi più strutturati e bollicine Metodo Classico, rosè, rossi vivaci, rossi più strutturati fino ai rossi più importanti e vini liquorosi alla fine. Questo vale sia per il singolo banco, dove però dovrebbe essere la cantina a rendere disponibile uno o più percorsi per chi si avvicina – non temete però di chiedere di assaggiare un solo vino, se vi ha incuriosito – sia per la vostra intera partecipazione all’evento.

🛍️ Acquisti: quali vini è meglio acquistare agli eventi del vino e come portarli a casa sani e salvi

Una premessa per quanto riguarda gli acquisti: non a tutti gli eventi è possibile acquistare. Ai banchi d’assaggio solitamente non è possibile; invece, alle fiere come il Mercato FIVI, occasione attesa da appassionati e appassionate di vino tutto l’anno e che mette a disposizione divertenti carrelli della spesa per trasportare le bottiglie acquistate, invece è previsto e, anzi appunto, anche favorito da organizzazione e cantine presenti. Il nostro consiglio anche qui è prevedere un budget iniziale – con la voce colpo di fulmine per quella spesa improvvisa dettata dall’amore a prima vista per un vino o una bottiglia -, portare una borsa con scomparti oppure un trolley o una borsa frigo per trasportare i propri acquisti senza rovinarsi la schiena e, se l’evento in estate, senza rischiare che il caldo dell’auto e la luce del sole rischino di rovinare i vini che abbiamo acquistato.

La story che vi ha fatto nascere tutti questi interrogativi

Una volta a casa ricordati di riporre gli acquisti in una cantinetta oppure in un luogo in casa dove la temperatura sia costante e mai troppo elevata e non sia sotto la luce del sole. Il vino è un elemento vivo e delicato ed è giusto prendersene cura (un po’ come faresti con il tuo pesce rosso).

vini low budget artigiane dell'uva

5 vini low budget delle artigiane dell’uva per fare bella figura quando ti invitano a cena

Wine-Kit di sopravvivenza per le prossime cene e aperitivi natalizi

Siamo alle porte di quel periodo dell’anno in cui si stima che si stapperanno più di 300 milioni di bottiglie tra brindisi, feste e cene di Natale. Per arrivare indenni all’8 gennaio, compresi di portafoglio e vita sociale, bisogna giocare d’astuzia: e quando ci invitano a cena avere già pronta una buona bottiglia da portare in regalo al padrone o alla padrone di casa. Come scegliere? Come abbiamo già raccontato qui, il vino migliore è quello che meglio si abbina o ai piatti in tavola oppure al carattere e alla personalità di chi ci invita. Per il secondo punto non possiamo aiutarti, ma per quanto riguarda il primo sì: ecco la nostra lista di vini low budget delle artigiane dell’uva per fare bella figura quando ti invitano a cena, sulla base dell’abbinamento con il cibo. Insieme a ogni vino, nei cofanetti degustazione, anche la storia della loro produttrice e una degustazione guidata con lei.

  1.  Filù Greco Bianco IGP Calabria di Filomena Grecobianco greco calabria degustazione Un vino luminoso che danza nel bicchiere insieme alle luci di Natale. Il Filù è ottenuto da uve greco bianco in purezza, un vitigno tra i più antichi al mondo, che rendono questo vino ideale per la Cena della Vigilia perché si abbina perfettamente con antipasti di pesce e crostacei. Si chiama così perché è quello che più rappresenta Filomena, da cui prende anche il nome. Scopri la loro storia e ordinalo qui. Costo del cofanetto degustazione, 22,50€.
  2. Pet Nat Rosato Frizzante di Silvia Giani – vino naturalecofanetto degustazione silvia emilia pennac Un rosato naturalmente rifermentato in bottiglia, dal colore rosa intenso e dalle note di frutta, ideale per i prossimi aperitivi grazie al colore allegro e all’effervescenza festosa che invita al prossimo brindisi. Con altre persone o, come piace dire a Silvia, anche perché no in solitaria. Scopri la loro storia e ordinalo qui. Costo del cofanetto degustazione, 25€.
  3. Rosa della Malvusta Rosato di Alice Castellanirosato cascina giambolino Il Rosa della Malvusta, da uve freisa e barbera, di un colore brillante che si accende di luce grazie alla bottiglia di vetro trasparente, è un ricordo alla nonna di Lele, marito di Alice, che ama abbinare questo vino con i salumi di loro produzione. Scopri la loro storia e ordinalo qui. Costo del cofanetto degustazione, 26€.
  4. Pinot Noir dell’Oltrepò Pavese di Laura Tortipinot noir oltrepo pavese degustazione laura torti Uno dei vini simbolo dell’Oltrepò Pavese nella sua veste più classica: profonda, complessa e morbida. Perfetto in abbinamento al cenone di Capodanno con cotechino e lenticchie, come piace a Laura. Scopri la loro storia e ordinalo qui. Costo del cofanetto degustazione, 23€.
  5. Bandita la Barbera di Nadia Verrua (vino naturale)bandita barbera nadia verrua degustazione vino naturale Una barbera che non dovrebbe esistere e un vino che invece esiste e si fa ricordare, come Nadia, che lo produce nella sua cantina a Scurzolengo nell’astigiano e che ama abbinarlo con tutto: ma con piatti di carne, come il ragù alla piemontese, ancora di più! Scopri la loro storia e ordinalo qui. Costo del cofanetto degustazione, 25€.

Ti sono piaciute le nostre idee di abbinamento? Se ti iscrivi alla newsletter entro il 20 dicembre, riceverai il ricettario completo con tutti i piatti natalizi che è possibile abbinare ai vini delle artigiane dell’uva. Clicca QUI per iscriverti e riceverlo.

come servire il vino

Che vino portare a una cena (e fare bella figura)

Bigino pratico e sincero per le prossime volte in cui ricevi un invito e non vuoi andare a mani vuote

O, peggio, portare la cosa sbagliata (che ansia!). Personalmente preferisco invitare le persone da me così almeno decido tutto io e fine. Solo che poi mi ricordo che devo anche lavare i piatti e allora siamo da capo. E se è vero che il suono del cin cin è uno dei miei preferiti e che una tavola imbandita è in grado di scaldarmi il cuore come un abbraccio, quello che mi piace davvero delle cene di Natale con amiche e amici è che è una volta da me e una da te. Allora: che cosa portare quando riceviamo un invito a cena? Se quando ero una studentessa fuori sede con le finanze limitate, si cercava di fare che ciascuna delle persone invitate portasse una portata così da non gravare troppo sulla padrona o sul padrone di casa (io portavo sempre il dolce), ora che siamo nei nostri thirty-something, la nostra capacità di spesa si è elevata e il nostro tempo è però più scarso di quando studiavamo, spesso e volentieri la scelta ricade sul vino.

Il vino da portare a cena: quale scegliere, quante bottiglie e perché non dobbiamo rimanerci male se non si apre subito

Portare il vino quando ci invitano a cena sembra anche una buona idea. Fino a quando non ci ritroviamo al momento dell’acquisto e allora i dubbi che ci assalgono ci fanno rimpiangere di non aver scelto dei fiori (altra alternativa, peraltro a mio parere sempre troppo sopravvalutata): che vino scegliere? E quante bottiglie regalare?

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Regalare il vino: cosa dice il Galateo

Partiamo dall’inizio: regalare il vino quando riceviamo un invito a cena, si o no? Ho provato a chiederlo a Google, che mi ha dato la stessa risposta del Galateo e di Csaba dalla Zorza. Secondo il bon ton, infatti, è chi invita a dover scegliere il vino da offrire all’ospite e non il contrario. Non solo per buona educazione, ma anche perché chi invita sceglierà il vino che assicura il miglior abbinamento con il cibo che si appresta a servire. Tuttavia è innegabile che il vino porti gioia a chi lo riceve e, allora, ben venga portarlo come regalo tenendo presente che, come tale, non dobbiamo aspettarci che venga aperto e bevuto durante la cena.

Che vino scegliere per fare bella figura?

Se consideriamo il vino come un regalo per chi ci ospita, possiamo evitare di pensare agli abbinamenti e concentrarci sulle caratteristiche del vino che potrebbero piacere al destinatario del nostro regalo. È una persona che ama sedersi, con la musica jazz, davanti al camino? Allora una buona opzione può essere un bicchiere di vino rosso, caldo, profondo, come un Montepulciano d’Abruzzo Riserva. Ama la compagnia ed è la regina di ogni festa? Allora per lei potrebbe andare bene una bollicina fresca ed elegante, come uno Spumante Metodo Classico dell’Oltrepò Pavese. Odia il Natale e rimpiange di non essere al caldo su qualche isola deserta? Allora meglio andare sul sicuro: un Pet Nat dai colori del tramonto. Come ama dire Donatella Cinelli Colombini, produttrice e imprenditrice vitivinicola e ex Presidentessa dell’Associazione Nazionale Donne Del Vino, i vini si scelgono come si scelgono gli abiti, pensando cioè all’emozione che vorremmo far scaturire, in noi e in chi ci guarda, quando ci immaginiamo di berli.

Quante bottiglie di vino si regalano di solito?

Se il vino che portiamo è un regalo per chi ci invita, la bottiglia può anche essere una perché si tratta di un regalo. Se invece abbiamo preso accordi prima e tocca a noi portare il vino per la serata, allora sempre meglio portare due bottiglie dello stesso vino, budget permettendo: un po’ perché se una presentasse difetti, ci sarebbe sempre la seconda; e un po’ perché se è buona, meglio averne subito un’altra pronta da aprire!

eventi vino

Gli eventi del mondo del vino

Fiere, festival, degustazioni: gli eventi del vino consigliati da Vite (e a cui partecipano anche le artigiane dell’uva)

Questa pagina viene aggiornata ogni volta che vediamo un evento che ci sembra carino

In evidenza

13 aprile, Oltrepò Pavese – Degustazione e art lab in collaborazione con Le Fiole: faremo una passeggiata tra i vigneti, degusteremo i vini delle due sorelle Piaggi e decoreremo la nostra etichetta usando solo elementi naturali, in un laboratorio artistico tenuto dal writer e visual artist Luca Prada. Per informazioni e iscrizioni QUI.

MAGGIO 2024

26 e 27 maggio, Castello di Stefanago – In quella splendida e accogliente terra che è l’Oltrepò Pavese, torna Natural Wines Oltrepò l’evento dedicato ai vini naturali e biodinamici.

MARZO 2024

24 e 25 marzo, NapoliViva la Vite, la fiera annuale di vini artigianali per la prima volta a Napoli.

17 e 18 marzo, MilanoVini di Vignaioli, il mercato degustazione dei vignaioli e delle vignaiole italiani e francesi, che lavorano con vitigni autoctoni e propongono un’interpretazione personale del loro terreno.

Dal 2 al 4 marzo, TorinoSalone del Vino di Torino, un grande banco degustazione per conoscere tutti i vini del Piemonte. Partecipa anche la nostra artigiana dell’uva Sara Vezza.

FEBBRAIO 2024

Dal 25 al 27 febbraio, BolognaSlow Wine Fair, la fiera internazionale dedicata ai vini e organizzata da Slow Food.

24 e 25 febbraio, Torino – Il primo Salone del Vermouth, l’evento dedicato al vino aromatizzato che ci piace di più.

18 e 19 febbraio, PescaraViva la Vite, la fiera annuale di vini artigianali.

18 e 19 febbraio, MilanoVelier Live 2024, l’evento dedicato al mondo spirits ospita quest’anno anche una sezione dedicata ai vini Triple A.

NOVEMBRE 2023

Dal 3 al 7 novembre, MeranoMerano Wine Festival, un evento di degustazione e incontro, con cantine italiane e internazionali.

10 e 11 novembre, Scanno –  DEGUSCANNO, l’evento enogastronomico più atteso d’Abruzzo, nell’iconico borgo montano.

25 novembre, Bologna Mercato dei Vini dei Vignaioili e delle Vignaiole Indipendenti, un’occasione per incontrare in un unico posto molte delle artigiane dell’uva, per assaggiare e acquistare i loro vini, e per scoprire le storie e i prodotti di altre artigiane e artigiani da tutta Italia.

25 novembre, ParmaInspiring Networking, una serata di racconti, condivisione e formazione che ci vedrà protagoniste insieme a Francesca Gonzales. La serata è organizzata da SheTech insieme a Laboratorio Aperto Parma e inizia alle 18:30. Ci si iscrive QUI.

OTTOBRE 2023

28, 29 e 30 ottobre, Fornovo di Taro Vini di Vignaioli, un evento dove vignaioli italiani e francesi, che lavorano con vitigni autoctoni e prediligono una viticoltura naturale, si incontrano e presentano le loro bottiglie.