com'è il corso per sommelier ais

Ho iniziato il corso per diventare sommelier ed è molto più tosto di quanto mi aspettassi

Il riassuntone dei take away di Vera dalle prime cinque lezioni del corso AIS

Io e Agnes, da che è nato Vite Storie di Vino e di Donne, abbiamo sempre detto: siamo due amiche appassionate di vino (intendendo che ci piace molto berlo e ancora di più berlo insieme) e non siamo esperte (intendendo che la nostra conoscenza si ferma laddove la bottiglia finisce). E questo è diventato un elemento comune, non solo tra noi, ma anche con le persone che ci seguono, che sempre di più sono persone a cui il vino piace e a cui piacciono le belle storie.

Perché allora ho sentito il bisogno di fare il corso per diventare sommelier?

Perchè andando avanti, mi sono resa conto che per raccontare meglio le storie delle artigiane dell’uva, avevo bisogno di conoscere meglio quella parte del loro mestiere che mi aveva sempre affascinato, ma che non avevo mai potuto capire fino in fondo. Quando, infatti, sono tornata a casa dalla prima lezione, e ho condiviso su Instagram il primo elenco dei miei take away, mi ero sin da subito resa conto di aver ascoltato, osservato, rispettato, i gesti e il sapere di queste donne, senza mai coglierne davvero l’essenza profonda. Quella sera, in una storia, ho scritto: imparare queste informazioni su come si fa il vino, è come conoscere per la prima volta la storia di un vecchio amico.

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Ho deciso, allora, di raccogliere qui le 5 cose che ho imparato in queste prime 5 lezioni di corso. Non mi soffermerò sugli aspetti tecnici – quanto dura (3 mesi), quante lezioni sono (15), cosa impari a fare (le basi di viticoltura, enologia e la tecnica della degustazione) – perché tanto è tutto qui sul sito dell’Associazione Italiana Sommelier. Ma racconterò le cinque cose che non mi aspettavo e che stanno rendendo questo corso super tosto e, insieme, super interessante.

1) La regola d’oro della sommelierie è: bere, bere e bere

Nonostante negli ultimi due anni, grazie a Vite e #viteincantina soprattutto, io abbia assaggiato molti più vini che negli anni precedenti, mi sono resa conto che, comunque, la mia conoscenza risulta limitatissima. In Italia esistono infatti più di 350 denominazioni di origine controllata e protetta e ci sono più di 255mila aziende vitivinicole (il cui 30% gestito da donne). Un’immensità che spaventa e che, ogni qualvolta qualcuno accanto a me riusciva a identificare il vino che stava bevendo, mi faceva sentire davvero una pivellina. Il bicchiere mezzo pieno? A venirmi in aiuto quella che mi è stata presentata come la regola d’oro della sommelierie, cioè: l’unico modo per conoscere il vino è berne il più possibile. E, questa, è certo, è qualcosa che anche una pivellina come me sa fare.

2) Per fare un buon vino, serve una buona uva. Per fare un vino ottimo, serve un’uva eccellente

All’uva, a com’è fatta, a come si coltiva e a cosa contiene, sono dedicate circa tre lezioni. Se, magari durante l’infanzia, avete avuto la fortuna di poter assaggiare i fiori della vite, di succhiare l’acidulo dei germogli e di rubare gli acini maturi salendo, in piedi, sul tavolo sotto al bersò, allora, in questo caso, siete avvantaggiate e avvantaggiati come è stato per me. Anche perché, essendo io nata e cresciuta in campagna, con un nonno che coltivava orti e amava prendersi cura della terra, ho sempre avuto una bella consapevolezza di quel che ci vuole per lavorarla, tutto l’anno, senza vacanze, anche quando piove o fa freddo e il terreno è duro, gelato, e quando arriva la grandine e si perde tutto, son lacrime e parolacce. Pivellina 2, gente già esperta che sa già un sacco di cose 1. Sapere tutto questo e poter conoscere la scienza che c’è dietro questo sapere contadino, mi ha affascinata moltissimo. E ha accresciuto il mio rispetto per chi fa questo mestiere e per chi coltiva la terra e fa il vino: se pensate che sia facile, perché, tanto, bisogna solo ripetere gli stessi gesti tutti gli anni, o ci sono i macchinari che vengono in aiuto, non è così. Osservare le stagioni, saperne cogliere i segnali, agire con in testa un obiettivo (che si chiama proprio obiettivo enologico) conoscere la terra, la chimica di cui è composta, la fisica che rende possibile certi meccanismi naturali, è un sapere profondo e sfaccettato. La mia ammirazione e il mio rispetto a chi lo padroneggia (e mio nonno, da lassù, sono certa che, ora, sorride beffardo come a dirmi: hai capito adesso è, il perché di tanta fatica?).

3) Tutto fa naso, eccetto il mio naso dopo le 22:00

Studiare, nel senso comune del termine – cioè, quello che abbiamo imparato a scuola – mi è del tutto inutile in una degustazione. I profumi, infatti, si imparano a riconoscere annusando, non leggendo i loro nomi su un libro. E, tuttavia, mi ostino a prendere appunti come facevo all’università. È un sapere diverso, senza dubbio, quello dei sensi. Si attiva per tentativi, si perfeziona con la ripetizione, è l’unione tra esperienza e consapevolezza che genera il sapere. Mi spiego: durante la degustazione di un vino bianco, alla domanda del relatore “che cosa sentite?”, qualcuno ha risposto “laicis”. Posto che, a casa mia, in pianura padana, quel frutto cinese che sembra un bulbo oculare (questo) si scrive “litchi” e si pronuncia “lici” al singolare e al plurale, proprio perché mi ricorda quella parte di corpo umano, penso di averlo assaggiato una volta soltanto quando ero bambina. E poi basta. Dunque, come potrebbe mai il mio cervello associare quell’odore, che pure riconosce nel vino, a quello di un frutto che non ho mai assaggiato? Dunque, ho capito che, non solo devo rimettermi a mangiare i litchi, ma devo iniziare ad annusare le banane acerbe, le ciliegie sotto spirito, il tabacco, il cuoio, l’arancia sanguinella, il ribes nero! Insomma, si prospetta una primavera molto interessante.

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Infine, ho scoperto che, dopo una certa ora, la sera, per me è impossibile distinguere sapori e odori: ed è la conferma che il mio cronotipo è quello dell’allodola (come spiega benissimo Chiara Battaglioni in questo articolo, il cronotipo è la predisposizione o preferenza a svolgere al meglio determinate attività in un certo momento della giornata; le allodole al mattino, i gufi la sera). Dunque, forse, dovrei iniziare a bere alle 7 di mattina.

4) Quelle cose che dicono i sommelier nei video in realtà le dicono davvero, con due MA che cambiano tutto

Restando in tema di odori e sapori, quello che dicono i sommelier-di-Instagram è davvero quello che si dice durante una degustazione. Ma, ci sono ben due MA, che cambiano tutto. Il primo è che, anzitutto, queste cose non vengono dette ad alta voce: chi degusta il vino, infatti, ha una scheda tecnica molto complessa da compilare, che si compone di diversi parametri e più di cento criteri per descrivere un vino e decretarne la qualità. Quel che ne esce è un punteggio espresso in centesimi, che dovrebbe essere rappresentativo del giudizio sulla qualità di un certo vino, in relazione alla tipologia a cui appartiene.

Il secondo MA è che, se è vero che questi parametri e criteri sono quasi oggettivi – perché si basano sulle percezioni visive, olfattive e gusto-olfattive e, a meno di incredibili differenze culturali o fisiche, tendenzialmente avremo tutte e tutti le stesse – , tutto ciò che è invece legato alle sensazioni, poiché mediato dalle nostre particolari esperienze, è soggettivo. Dunque, se la prossima volta che partecipi a una degustazione non senti il litchi, o l’arancia sanguinella, o il tabacco, non ti crucciare. L’importante è che tu sappia giudicare la qualità di quel vino sulla base delle tue percezioni. Poi, sul resto, puoi sempre esercitarti.

5) Resto umile e vado avanti

E lo dico a te che mi leggi perché lo sto dicendo spesso anche a me stessa. Avevo iniziato su Instagram a raccontare di volta in volta come andava questo corso. Poi mi sono fermata. Quando mi sono resa conto che non riuscivo a sentire quel che pensavo di dover sentire, mi sono impaurita e ho detto a tutte e tutti voi: facciamo che mi fermo un attimo e vi racconto quando sono un po’ più bravina? Credo di aver sbagliato. Mi sono resa conto che quando si fa qualcosa per la prima volta, tocca non tanto di essere pre-disposte e prefisposti a quella cosa, quanto essere dispostə a scoprirla, anche se richiede di rinegoziare il nostro modo di imparare. Dunque, non doveva interessarmi tanto la mia incapacità di sentire quel sapore o quell’aroma, quanto, la modalità più efficace per imparare a sentirlo. Dato che, da quel che ho capito, il modo migliore è di annusare, annusare, annusare e bere, bere, bere, queste sono due cose che sicuramente posso fare. E che sarà un piacere per me continuare a raccontarvi!

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